Ieri ho letto la notizia della morte di Alessandra Appiano. Avrei voluto scrivere qualcosa, ma le parole non trovavano espressione.
Avevo letto il suo libro "Amiche di salvataggio" diversi anni fa e mi era piaciuta moltissimo l'idea su cui era incentrato il volume: un salvagente al femminile.
Così ho ripensato a quel salvagente e alla fragilità e alla solitudine di tante donne che conosco. Io stessa sto vivendo un periodo di intensa fragilità, ma, da sempre, sento il bisogno di vivere i miei ribaltamenti interiori in solitudine perchè, in uno spazio solo mio e isolato dal mondo, mi è più facile centrarmi e recuperare le forze.
Ho però realizzato che l'unione di solitudine e fragilità è per molte persone fonte di sofferenza incolmabile.
Cosa accade, dunque, quando il salvagente stesso diventa fragile? Un cerchio di salvataggio composto di fragilità inevitabilmente si disgrega: manca la forza coesiva generata da quell'energia interiore individuale già carente. Quando lo specchio di un'amica ti rimanda la stessa tua debolezza, questa si amplifica divenendo insostenibile e ti induce ad allontanarti per autodifesa.
L'assenza di un salvagente in un mare in tempesta potrebbe dar forma al pensiero di non essere in grado di sopravvivere, lasciando spazio alla depressione.
A quel punto tutto perde di significato: la materialità delle cose per prima. Il corpo è sempre più stanco e il sostenere relazioni e impegni è una scalata continua che richiede energie che non si hanno.
Per necessità ci si autoesclude dal movimento della vita e ci si immobilizza in un baratro sempre più profondo di disperazione e isolamento.
A quel punto la soluzione migliore può apparire quella di porre fine a tanta sofferenza.
Una scelta velata dalle lenti scure della depressione e dall'incapacità a ritrovare la bellezza dentro di sè e in ciò che ci circonda. Tutto appare buio e insignificante, vita stessa inclusa.
E nell'indifferenza di un mondo che corre ci si ferma.
A fermarsi sono in tanti, troppi. Le notizie scivolano via in fretta e non fanno più clamore.
Siamo sempre più isolati e indifferenti.
Siamo così anestetizzati nei confronti della sofferenza, del dolore e della vita che quando ci troviamo a confrontarci personalmente con queste tematiche non sappiamo più come gestirle e la soluzione migliore ci appare un'anestesia totale dalla quale non risvegliarci più.