Perchè proprio in questi giorni, sui social, sono state postate moltissime foto su quello che sta accadendo in Siria e in molti hanno accolto l'invito ad esprimere sgomento, rabbia e il loro senso di impotenza di fronte alla mostruosità degli eventi. Ciò che sta succedendo in Siria è allucinante, ma, purtroppo, nel nostro piccolo, non abbiamo la possibilità di intervenire a cambiare le cose.
Possibilità che ci appartiene però, se guardiamo con maggiore umiltà e consapevolezza al disagio che ci circonda e per il quale possiamo adoperarci attivamente.
Infatti, qui è insita la grande differenza: vogliamo veramente fare qualcosa in direzione dell'aiuto o ci basta affermare che vorremmo tanto adoperarci in tal senso, ma non possiamo?
Ci sono molte associazioni come questa nelle nostre comunità e vi è molto disagio anche intorno a noi: la possibilità di renderci utili mettendo, ad esempio, a disposizione parte del nostro tempo o le nostre capacità, è sempre presente.
La domanda che dobbiamo porci è se siamo veramente disposti a rimboccarci le maniche e ad aprire gli occhi sulle situazioni di disagio che ci sono vicine (e sono tante) per divenire parte attiva nel cambiamento, rimanendo coerenti con le parole che scriviamo ed esprimiamo, a volte, con troppa superficialità.
L'atteggiamento di indifferenza che sembra aver congelato i cuori si manifesta proprio nell'assenza di una presa di posizione personale che ci coinvolga concretamente nell'aiuto.
Un aiuto concreto e silenzioso in ambito locale probabilmente non nutrirà a sufficienza il nostro ego, ma saprà scaldare il cuore di coloro che sceglieremo di accompagnare e il nostro stesso cuore ne gioirà.
Grazie a tutti.
Hervé,
È nato con una malattia che mai nessuno ha diagnosticato anche se abbiamo eseguito tantissimi esami genetici e clinici.
L’unico segno evidente appena nato era una malformazione alla mandibola, aveva e ha tutt’oggi il mento sfuggente.
Lo scatolone che contiene tanta carta sul suo stato di salute ha viaggiato presso numerosi ospedali in Italia, in Europa e anche negli Stati Uniti, ma nessuno ha mai saputo dare un nome alla sua condizione, una prospettiva, una speranza di cura, mai nessuno ha visto un caso come il suo. La sua è una malattia ultra-rara. L’unica cosa certa che alcuni dei nervi cranici non funzionano bene. Si tratta di quei nervi particolari che invece che dal midollo spinale partono direttamente dal tronco encefalico e che servono a fare molte cose tra cui deglutire, succhiare, tossire, fare delle smorfie e muovere gli occhi. Queste cose Hervé non riesce a farle o le fa molto male. Non siamo mai riusciti a dargli un biberon e non ha mai sorriso.
Oltre a tutto ciò non ha molta forza nei muscoli. E nessuno sa dirci perché. Hervé controlla male la testa, non sta seduto, non sa tenere in mano un gioco neanche per due secondi. Ma ha le gambe funzionanti e con un girello speciale si sposta, insegue sua sorella e va dove vuole, riesce anche a passare attraverso porte più strette del suo girello. Un caso al mondo come dicono i medici.
Emozionalmente si sviluppa abbastanza bene, ma la comunicazione è molto limitata, ha dei problemi con gli occhi, vede, ma non sa fissare lo sguardo a lungo, così come non sa indicare con le mani.
Cerchiamo di continuare a vivere il meglio che possiamo, fare in modo che la sua vita sia la migliore possibile, che sua sorella più grande non viva nell’ombra della malattia, che si salvi lei, perché noi genitori siamo a pezzi.
Le malattie rare sono rare, ma a qualcuno tocca. E' toccato a Hervé.
La disabilità in Italia è un affare di famiglia, soprattutto quando i disabili sono i bambini e quando sono in gravi condizioni.
L’abbiamo scoperto quando è nato Hervé affetto da una malattia altamente invalidante. Nostro figlio ha tre anni e dalla nascita richiede assistenza specialistica continua. Giorno e notte.
Vive grazie al progresso tecnologico portato avanti dalla medicina. Lo stesso progresso non ha riguardato le politiche socio-sanitarie in Italia.
Nostro figlio è a casa con noi, e noi come famiglia facciamo del nostro meglio per garantire a lui le migliori condizioni di vita. Facciamo del nostro meglio per continuare ad esistere come famiglia, ma non vogliamo che la sua disabilità sia solo un affare nostro. Vorremmo essere sostenuti da parte dello Stato con dei servizi adeguati per garantire a lui l’incolumità e nello stesso tempo a noi un po’ di vita.
Le istituzioni pubbliche da più di due anni sono sfuggenti e noi continuiamo a rincorrerle per avere questi servizi assistenziali a domicilio a favore di Hervé.
Due anni.
Sappiamo che in Italia ci sono delle famiglie che rincorrono un sostegno da molto più tempo, altre si sono arrese per mancanza di fondi o tempo perché la famiglia nel frattempo si è disfatta, altre ancora non sanno che possono rincorrere e non hanno il diritto ad essere aiutate.
La nostra storia.
Tutto inizia con la sua nascita il 7 novembre 2014. Fino a questo giorno eravamo una famiglia come tante, avevamo già una bimba di 3 anni e mezzo, una vita normale tra la casa, il lavoro e il mondo da far scoprire ai nostri figli, a scoprirlo assieme. Nulla di particolare, nulla di straordinario.
Poi è nato il nostro secondo figlio.
Dopo circa due mesi passati in ospedale è stato dimesso con la formula dell’ADI – assistenza domiciliare integrata. Essa viene attivata dal Servizio sanitario nazionale per quei pazienti che non sono più in fase acuta e possono essere assistiti a domicilio.
Ci hanno fornito degli strumenti medici indispensabili per la sua sopravvivenza. A casa è stato assistito da noi che abbiamo imparato le manovre che mai ci saremmo immaginati di dover imparare per garantire il bene per nostro figlio: la gestione del saturimetro, la gestione del sondino naso – gastrico per nutrirlo perché non deglutisce e l’aspiratore per liberare le vie aeree e non farlo soffocare. Siamo diventati degli infermieri quasi perfetti, quando vorremmo essere anche un po’ genitori e godere dei momenti di serenità che il ruolo genitoriale porta con sé.
Le prime richieste al Servizio sanitario di poter avere a casa un infermiere solo per un paio di ore al giorno e darci un po’ di sollievo sono andate a vuoto. Era la primavera del 2015, Hervé aveva circa 6 mesi e sua sorella più grande 4 anni. La vita ci ha catapultato in mezzo a una situazione molto grave e delicata.
Scopriamo che i servizi di assistenza infermieristica non erano previsti nel progetto individuale di Hervé di cure a domicilio e secondo l’Azienda USL della Valle d’Aosta non erano possibili da attivare.
Eravamo imprigionati nella nostra casa.
Hervé non usciva praticamente di casa, i suoi spostamenti erano limitati solo per i controlli in ospedale. Noi non uscivamo di casa. Hervé era attaccato ad un saturimento che controllava la respirazione e spesso bisognava aspirare l’eccesso di secrezioni e di saliva per non farlo soffocare. Ogni 20 minuti e qualche volta anche di più.
Il tempo, la fatica e l’angoscia ci stava esaurendo, non tanto fisicamente, quanto psicologicamente. Vedere proprio figlio tra la vita e la morte ci devastava. Vivevamo appesi in questa situazione praticamente soli e più il tempo passava più capivamo che non esisteva una soluzione, non esisteva una cura.
Non si può curare, l’unica cosa che potevamo (e possiamo) fare è prendere cura.
Una domanda che spesso ci tornava in mente era “Ma è possibile che il sistema ci lasci da soli?” e “Quanto possiamo resistere?”.
Si resiste quasi sempre, o forse no. In questi anni di vita di Hervé abbiamo visto varie tragedie dovute all’abbandono delle famiglie che avevano al loro interno una situazione grave da gestire.
Quando Hervé ha avuto circa un anno e le sue condizioni restavano gravi, ma stabili abbiamo tentato l’iscrizione all’asilo nido.
Abbiamo chiesto alle istituzioni di organizzarsi per poter gestire la situazione sanitaria di Hervé, nutrirlo con il sondino naso-gastrico, aspirarlo e tenere la postura corretta all’asilo. Anche in questo caso nessuna risposta concreta, così Hervé non è mai andato all’asilo nido.
Hervé era destinato a restare in casa.
E noi?
Noi con lui.
Come una famiglia può gestire una situazione così grave da sola?
In Italia succede molto spesso che le mamme in situazioni simili non rientrino più al lavoro. Lo fanno per scelta personale, ma lo fanno anche perché non vedono altre soluzioni oppure proprio non ci sono alternative, ossia non esistono i servizi adeguati a domicilio in grado di prendere cura del bimbo in assenza dei genitori.
Loro si sostituiscono allo Stato e restano in casa ad accudire il bimbo disabile.
Queste persone le chiamano caregiver e l’Italia è uno dei pochi paesi dell’Unione Europea che non riconosce tale figura da nessun punto di vista.Sono delle persone che all’interno del nucleo familiare rinunciano alla propria vita per prendersi cura di un disabile o di un non autosufficiente.
Non ci sono molte statistiche o studi sulla loro qualità di vita, loro per il sistema non esistono. Dalle ultime ricerche in teoria non si sa neanche con esattezza quante sono. Sono disoccupate dal punto di vista del mercato del lavoro e tutto il loro tempo lo dedicano ad assistere un familiare fragile.
Non solo la caregiver
Ho sempre immaginato che prima o poi sarei rientrata al lavoro. In ogni situazione bisogna continuare a vivere e io volevo essere una mamma per i miei figli e non solo la caregiver di Hervé. Quando ho comunicato alle istituzioni socio-sanitarie il mio desiderio di rientrare al lavoro almeno per un paio di ore a settimana e quindi la necessità di trovare una soluzione per accudire Hervé in mia assenza mi sono sentita dire che non c’era una soluzione.
Non potevo permettermi di tornare al lavoro perché ho un figlio disabile grave che necessita di essere assistito a domicilio e lo devo fare io.
Mi hanno detto che in Valle d’Aosta non sono mai stati attivati servizi a domicilio a favore di chi era in una situazione come la nostra.
Ho urlato che è discriminatorio, che ogni persona deve poter scegliere, che psicologicamente non ce la faccio più, che umanamente non è possibile. Ho urlato per un paio di mesi, ma le urla non hanno cambiato nulla. Quando Hervé ha compiuto 14 mesi abbiamo assunto a nostre spese un’infermiera pediatrica per poche ore a settimana, per verificare concretamente la possibilità di lasciare a domicilio e in piena sicurezza nostro figlio.
Il costo di un infermiere libero professionista, iscritto all’albo professionale, che può secondo la legge compiere gli atti medici (nutrirlo con il sondino, aspirarlo e garantire l’incolumità) è elevato. A marzo del 2016 sono rientrata al lavoro e l’infermiera 15 ore a settimana è rimasta con Hervé a casa. L’abbiamo pagata noi e nel frattempo abbiamo continuato a chiedere per iscritto i servizi assistenziali a domicilio.
Alla fine, con molta fatica, una soluzione per un anno è stata adottata con il contributo della Regione. Un progetto sperimentale che prevedeva il rimborso della buona parte delle spese dell’assistenza infermieristica. Un anno per monitorare il tutto e poi decidere cosa fare di seguito in modo più definitivo.
A causa dei problemi del bilancio pubblico si sono accumulati i ritardi nei rimborsi e così abbiamo anticipato tanto denaro per i servizi assistenziali a domicilio a tutela di nostro figlio.
Il progetto è finito il 31 marzo 2017 e con estrema fatica e sei mesi di ritardo difficili da sostenere è ripartito per un altro anno (fino a 31 marzo 2018). Si tratta di una soluzione comunque imperfetta perché molto precaria, che non garantisce serenità, anzi crea insicurezza sul futuro.
Hervé richiede un’assistenza continuativa di tipo infermieristico e lo attestano e hanno sottoscritto anche i medici che lo seguono.
Nessuno ha chiesto a noi genitori se siamo in grado di garantire questo tipo di assistenza a domicilio in modo continuativo: psicologicamente, fisicamente, ma anche finanziariamente.
Come famiglia ce la facciamo? Nessuno ha chiesto a me, mamma e donna, se voglio diventare un caregiver e sostituirmi alle istituzioni pubbliche nel prendere cura 24 ore di un disabile, senza aver diritto alla vita familiare, personale e professionale.
Penso che nessuna famiglia possa farcela da sola, che le istituzioni non possano lavarsi le mani e fregarsene dei diritti dei disabili e delle loro famiglie, in particolare, delle donne che spesso non hanno una scelta.
Aiutaci a difenderci da un sistema che da più di due anni ci sta distruggendo, come famiglia, come persone e come cittadini.
Aiutaci ad aiutare anche altre famiglie, che vivono in situazioni simili in silenzio e solitudine. Noi sappiamo che loro ci sono, che hanno bisogno di sostegno, di voce e di coraggio per osare a cambiare.
Da più di due anni ci stiamo difendendo da soli, continuiamo a scrivere, a reclamare le risposte, continuiamo a fare le riunioni con le strutture responsabili e no per discutere del problema di assistenza a domicilio di Hervé.
Infine nell’esasperazione abbiamo fatto anche un esposto in Procura. Tutto questo non ha portato ad una soluzione per nostro figlio e per la nostra famiglia.
Dopo tantissimi mesi di solitudine e di disperazione causate da un sistema inefficace, come mamma e donna, ho deciso che non voglio più stare in silenzio.
Vorremmo trasformare la nostra disperazione in una risorsa, l’Associazione, per noi e per tutte quelle famiglie che non riescono ad ottenere le risposte da parte del sistema, ma non vogliono mollare.
Questa Associazione nasce
- per sostenere le famiglie con i bambini disabili gravi per i quali il sistema socio-sanitario italiano non prevede soluzioni adeguate per garantire le migliori cure e assistenza a domicilio e preservare la vita famigliare,
- per aiutare a reclamare i propri diritti, il diritto ad una vita il più possibile normale, anche se con un bimbo disabile grave,
- per dare un po’ di luce ai fratelli dei bambini disabili e farli uscire dall’ombra nella quale spesso vivono,
- per analizzare i fenomeni legati alla disabilità,
- per diventare un punto di riferimento di mamme dei bambini disabili gravi che cercano di non mollare la vita professionale che garantisce a loro non solo l’indipendenza economica, ma anche la realizzazione personale.
Agnieszka e Patrick, genitori di Hervé e di Anaïs.
Ti saremo grati se condividerai la nostra storia.