martedì 27 marzo 2018

RIORGANIZZARE LA MEMORIA SI PUO'

Abbiamo una valigia fedele che ci segue ad ogni passo: la memoria. 
Questa valigia è piena di ricordi, emozioni, gioia, dolore, ferite, sogni mancati e sogni realizzati, errori ed esperienze. 
Vi siete mai domandati  perchè nella valigia tutte queste cose abbiano pesi differenti e sembra che il dolore con il suo carico ne occupi la maggior parte e che la gioia, così leggera, resti spesso relegata ad un angolino? 
Io sì.
Così per curiosità decisi di appoggiare la mia valigia a terra, aprirla e osservarne il contenuto. 
Scoprii che il dolore aveva tanti fili invisibili che lo collegavano alla tristezza, alla rabbia, alla paura e a tante altre emozioni che zavorravano l'esperienza alla valigia e le facevano mettere radici tenaci  in essa. 
Ogni volta che provavo emozioni  similari realizzai, inoltre, che le radici del dolore si rafforzavano e i fili invisibili dell'emotività si intrecciavano ad altre esperienze dolorose occupando sempre più spazio. Con grande stupore osservai invece la gioia avere un unico filo invisibile che la collegava ad un enorme palloncino rosso con la scritta amore: in trasparenza al suo interno potevo leggere fiducia, amicizia, lealtà, sincerità, coerenza, rispetto ... 
Nella mia valigia il palloncino rosso era schiacciato dal peso del dolore e la sua leggerezza influiva poco sul peso che mi portavo dietro.
Così ho preso un enorme paio di forbici e ho iniziato a tagliare i fili invisibili delle emozioni delle esperienze dolorose, togliendo ad esse il carico emotivo di quando le ho vissute e riducendole a semplici episodi del passato. Man mano che tagliavo i fili, le emozioni si sgonfiavano fino a scomparire e il dolore diveniva una scatolina chiusa molto meno ingombrante. 
Questa operazione mi richiese molto tempo, ma il risultato fu spettacolare. 
Il palloncino rosso si gonfiò occupando più spazio grazie all'amore con  il quale mi ero presa cura di me stessa e le scatoline di dolore si accumularono ordinatamente in una parte della valigia liberando un sacco di spazio per le esperienze del presente. 
Soddisfatta richiusi la valigia e ripresi il cammino.
Non dimenticai mai l'importante lezione che avevo appena imparato: riorganizzare la memoria si può.
Buon viaggio esploratori della memoria.







lunedì 26 marzo 2018

LENTI SCURE? NO, GRAZIE

Quante volte, senza accorgercene, indossiamo un paio di lenti scure per guardarci intorno? E quante volte le indossiamo per guardarci dentro? E le ombre ci sembrano dilagare ovunque? 
L'imperfezione diviene un mostro dalle mille teste da cui dobbiamo difenderci, proteggerci, scappare. 
La realtà esterna diviene un percorso ad ostacoli faticoso e interminabile, mentre dentro ci sentiamo pesanti, confusi, esausti. 
Quando questo accade, fermatevi, afferrate le lenti scure e deponetele ai vostri piedi: poi osservatele  e fateci quattro o cinque salti sopra fino ad averle frantumate per bene così che i frammenti vi rimandino i colori dell'arcobaleno.
Un bel respiro e si riparte.  Magari non saranno tutti brillantini, ma ci sentiremo decisamente meglio.
Che sia una serena giornata di sole.



Foto Donatella Coda Zabetta

venerdì 23 marzo 2018

SOLE DI PRIMAVERA

La luce inonda la stanza
e il sole primaverile illumina lo sguardo.
I colori della natura
disegnano il cambiamento.
La quercia trattiene le ultime foglie secche 
mentre l'olmo mostra le prime gemme.
Ognuno  percepisce questa  apertura alla vita
a suo modo
esprimendo le infinite sfumature della bellezza.




mercoledì 21 marzo 2018

SORRIDI CHE TI PASSA

Quando la vita ti fa lo sgambetto, 
sorridi.
Quando ti guardi allo specchio e ti accorgi che non ti manca niente di imperfetto,
sorridi.
Quando la tua vita sociale è in armonia con la tua immagine allo specchio,
sorridi.
Quando sei stanco, disilluso, arrabbiato, triste, nervoso,
sorridi.
E che il tuo sorriso sia lieve.


Foto di mohamed Abdelgaffar da Pexels

domenica 18 marzo 2018

VECCHI AMICI

E poi capita
che ti ritrovi a distanza di anni
ad una presentazione o ad un concerto.
E il tuo sguardo è più maturo:
ha conosciuto le difficoltà della vita,
ma non ha smesso di brillare.
La sensibilità acerba di un tempo
ha preso forma
grazie ad un cuore forte e coraggioso
che ha saputo riconoscere il proprio talento
e con entusiasmo l'ha ascoltato, sostenuto, curato.
E poi capita
di ascoltare una dedica e di commuoversi
perchè le parole sgorgano spontanee
a ringraziare quella luce
che ci appartiene e ci avvicina.
Tanto tempo è passato,
ma ieri come allora
è bastato uno sguardo di condivisione
per ritrovarsi più vicini al cielo.

Grazie Alberto.
(chitarrista delle Schegge Sparse http://www.scheggesparse.it/)




Concerto delle Schegge Sparse - Trattoria Nazionale Villareggia - 17/03/2018



sabato 17 marzo 2018

PRESENTAZIONE AL FESTIVAL DELL'ORIENTE DI TORINO


Venerdì 23 Marzo 2018 
SALA 1 
al Festival dell'Oriente di Torino: 

alle 15,00 con Paola Neyroz 
"Scrittura e immaginazione nel pensiero di Baba Bedi"
l'ascolto e l'espressione di sè. 

alle 16,00 con Donatella Coda Zabetta

"In movimento dal coraggio di ascoltarsi al ritmo del corpo"

quando l'esperienza segna la via verso la consapevolezza:
ascolto, osservazione, apertura nel vivere la quotidianità.




venerdì 16 marzo 2018

SMETTI DI INDOSSARE LO SGUARDO DI CHI TI E' VICINO

Siamo abituati ad accogliere e soppesare le parole di chi ci vive accanto. A volte queste parole ci fanno piacere, altre volte ci feriscono. Le parole sono sempre un dono che può risultare più o meno gradito in relazione al fatto che risponda alle nostre aspettative o le disattenda. Inoltre, può capitare che il dono verbale ci destabilizzi, facendoci sentire giudicati. 
Leggiamo il giudizio nelle parole che ci vengono dette quando siamo noi per primi a giudicarci. Perchè questo accade? Perchè siamo soliti osservarci con lo sguardo di chi ci è stato accanto nell'infanzia; questo sguardo cela sempre le aspettative e i bisogni tipicamente umani di chi osserva.
Lasciar andare parole che ci siamo sentiti ripetere per anni non è semplice, soprattutto se consideriamo il fatto che da bambini le abbiamo accolte come dono d'amore e senza alcun discernimento. 
Un'elaborazione consapevole del giudizio dovrebbe aiutarci a comprendere quando stiamo ancora indossando lo sguardo di chi ci è vicino.
Immaginiamoci come organismo e non semplicemente come persona: può una mano giudicare l'altra quando entrambe sono indispensabili all'armonia dell'insieme? O può il fegato giudicare la milza? O la mente giudicare il cuore (questa è tosta, perchè la mente è umanamente egocentrata e, quindi, lo fa spesso e volentieri!)? Il giudizio tra le parti di uno stesso organismo è innaturale. 
Eppure a volte siamo veramente feroci e inflessibili con noi stessi. 
La domanda sorge spontanea ... qualcuno è stato così feroce e inflessibile con me quando ero piccolo? Può il suo sguardo aver velato il mio? 
Provando a indossare quello sguardo in modo oggettivo, potrei accorgermi dei bisogni e  delle fragilità che esso portava con sè e quindi, posso imparare ad accoglierlo semplicemente come uno sguardo umano e non come una condanna a vita. 
Scrollarsi di dosso le miriadi di sguardi che ci hanno accarezzato e definito nel tempo per osservarci in assenza di giudizio e con amore, è un passaggio importantissimo. 
Abbandonare gli occhiali presi a prestito è un immenso atto d'amore verso noi stessi.
La successiva scoperta di non aver bisogno di occhiali è una grande libertà.
La libertà di ascoltarsi e ascoltare le parole che ci vengono dette con consapevolezza.
In "Leila una storia come tante" vi racconto come fare.



Foto di Chiara Rondoletto




venerdì 2 marzo 2018

ASSOCIAZIONE LA CASA DI SABBIA ONLUS

Oggi ho scelto di parlarvi di un'associazione italiana - LA CASA DI SABBIA ONLUS che supporta i bambini con disabilità e le loro famiglie.  Perchè oggi?
Perchè proprio in questi giorni, sui social, sono state postate moltissime foto su quello che sta accadendo in Siria e in molti hanno accolto l'invito ad esprimere sgomento, rabbia e il loro senso di impotenza di fronte alla mostruosità degli eventi. Ciò che sta succedendo in Siria è allucinante, ma, purtroppo, nel nostro piccolo, non abbiamo la possibilità di intervenire a cambiare le cose.
Possibilità che ci appartiene però, se guardiamo con maggiore umiltà e consapevolezza al disagio che ci circonda e per il quale possiamo adoperarci attivamente. 
Infatti, qui è insita la grande differenza: vogliamo veramente fare qualcosa in direzione dell'aiuto o ci basta affermare che vorremmo tanto adoperarci in tal senso, ma non possiamo?
Ci sono molte associazioni come questa nelle nostre comunità e vi è molto disagio anche intorno a noi: la possibilità di renderci utili  mettendo, ad esempio, a disposizione parte del nostro tempo o le nostre capacità, è sempre presente. 
La domanda che dobbiamo porci è se siamo veramente disposti a rimboccarci le maniche e ad aprire gli occhi sulle situazioni di disagio che ci sono vicine (e sono tante) per divenire parte attiva nel cambiamento, rimanendo coerenti con le parole che scriviamo ed esprimiamo, a volte, con troppa superficialità.
L'atteggiamento di indifferenza che sembra aver congelato i cuori si manifesta proprio nell'assenza di una presa di posizione personale che ci coinvolga concretamente nell'aiuto.
Come diceva Ghandi: "Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo."
Un aiuto concreto e silenzioso in ambito locale probabilmente non nutrirà a sufficienza il nostro ego, ma saprà scaldare il cuore di coloro che sceglieremo di accompagnare e il nostro stesso cuore ne gioirà.

Dopo queste parole molto schiette, desidero farvi conoscere meglio LA CASA DI SABBIA ONLUS, attraverso la sua Presidente Agnieszka Stokowiecka e il suo bimbo Hervè. Riporto la storia di Hervè, come la potete leggere dal sito dell'Associazione, così che possiate comprendere meglio il senso delle parole che ho espresso in modo così diretto . 

Questo è il link su  Come sostenere l'associazione nel modo che più risponde alle vostre esigenze, anche solo condividendo questo post e diffondendolo in rete così che le persone pronte ad essere parte attiva nel "cambiamento" possano intervenire in direzione dell'aiuto.
Grazie a tutti.

Donatella Coda Zabetta

La storia di Hervé
Herve-la-casa-di-sabbia-onlusHervé,
È nato con una malattia che mai nessuno ha diagnosticato anche se abbiamo eseguito tantissimi esami genetici e clinici.
L’unico segno evidente appena nato era una malformazione alla mandibola, aveva e ha tutt’oggi il mento sfuggente.
Lo scatolone che contiene tanta carta sul suo stato di salute ha viaggiato presso numerosi ospedali in Italia, in Europa e anche negli Stati Uniti, ma nessuno ha mai saputo dare un nome alla sua condizione, una prospettiva, una speranza di cura, mai nessuno ha visto un caso come il suo. La sua è una malattia ultra-rara. L’unica cosa certa che alcuni dei nervi cranici non funzionano bene. Si tratta di quei nervi particolari che invece che dal midollo spinale partono direttamente dal tronco encefalico e che servono a fare molte cose tra cui deglutire, succhiare, tossire, fare delle smorfie e muovere gli occhi. Queste cose Hervé non riesce a farle o le fa molto male. Non siamo mai riusciti a dargli un biberon e non ha mai sorriso.
Oltre a tutto ciò non ha molta forza nei muscoli. E nessuno sa dirci perché. Hervé controlla male la testa, non sta seduto, non sa tenere in mano un gioco neanche per due secondi. Ma ha le gambe funzionanti e con un girello speciale si sposta, insegue sua sorella e va dove vuole, riesce anche a passare attraverso porte più strette del suo girello. Un caso al mondo come dicono i medici.
Emozionalmente si sviluppa abbastanza bene, ma la comunicazione è molto limitata, ha dei problemi con gli occhi, vede, ma non sa fissare lo sguardo a lungo, così come non sa indicare con le mani.
Cerchiamo di continuare a vivere il meglio che possiamo, fare in modo che la sua vita sia la migliore possibile, che sua sorella più grande non viva nell’ombra della malattia, che si salvi lei, perché noi genitori siamo a pezzi.
Le malattie rare sono rare, ma a qualcuno tocca. E' toccato a Hervé.

La disabilità in Italia è un affare di famiglia, soprattutto quando i disabili sono i bambini e quando sono in gravi condizioni.

L’abbiamo scoperto quando è nato Hervé affetto da una malattia altamente invalidante. Nostro figlio ha tre anni e dalla nascita richiede assistenza specialistica continua. Giorno e notte.
Vive grazie al progresso tecnologico portato avanti dalla medicina. Lo stesso progresso non ha riguardato le politiche socio-sanitarie in Italia.
Nostro figlio è a casa con noi, e noi come famiglia facciamo del nostro meglio per garantire a lui le migliori condizioni di vita. Facciamo del nostro meglio per continuare ad esistere come famiglia, ma non vogliamo che la sua disabilità sia solo un affare nostro. Vorremmo essere sostenuti da parte dello Stato con dei servizi adeguati per garantire a lui l’incolumità e nello stesso tempo a noi un po’ di vita.
Le istituzioni pubbliche da più di due anni sono sfuggenti e noi continuiamo a rincorrerle per avere questi servizi assistenziali a domicilio a favore di Hervé.
Due anni.
Sappiamo che in Italia ci sono delle famiglie che rincorrono un sostegno da molto più tempo, altre si sono arrese per mancanza di fondi o tempo perché la famiglia nel frattempo si è disfatta, altre ancora non sanno che possono rincorrere e non hanno il diritto ad essere aiutate.

La nostra storia.

Tutto inizia con la sua nascita il 7 novembre 2014. Fino a questo giorno eravamo una famiglia come tante, avevamo già una bimba di 3 anni e mezzo, una vita normale tra la casa, il lavoro e il mondo da far scoprire ai nostri figli, a scoprirlo assieme. Nulla di particolare, nulla di straordinario.
Poi è nato il nostro secondo figlio.
Dopo circa due mesi passati in ospedale è stato dimesso con la formula dell’ADI – assistenza domiciliare integrata. Essa viene attivata dal Servizio sanitario nazionale per quei pazienti che non sono più in fase acuta e possono essere assistiti a domicilio.
Ci hanno fornito degli strumenti medici indispensabili per la sua sopravvivenza. A casa è stato assistito da noi che abbiamo imparato le manovre che mai ci saremmo immaginati di dover imparare per garantire il bene per nostro figlio: la gestione del saturimetro, la gestione del sondino naso – gastrico per nutrirlo perché non deglutisce e l’aspiratore per liberare le vie aeree e non farlo soffocare. Siamo diventati degli infermieri quasi perfetti, quando vorremmo essere anche un po’ genitori e godere dei momenti di serenità che il ruolo genitoriale porta con sé.
Le prime richieste al Servizio sanitario di poter avere a casa un infermiere solo per un paio di ore al giorno e darci un po’ di sollievo sono andate a vuoto. Era la primavera del 2015, Hervé aveva circa 6 mesi e sua sorella più grande 4 anni. La vita ci ha catapultato in mezzo a una situazione molto grave e delicata.
Scopriamo che i servizi di assistenza infermieristica non erano previsti nel progetto individuale di Hervé di cure a domicilio e secondo l’Azienda USL della Valle d’Aosta non erano possibili da attivare.
Eravamo imprigionati nella nostra casa.
Hervé non usciva praticamente di casa, i suoi spostamenti erano limitati solo per i controlli in ospedale. Noi non uscivamo di casa. Hervé era attaccato ad un saturimento che controllava la respirazione e spesso bisognava aspirare l’eccesso di secrezioni e di saliva per non farlo soffocare. Ogni 20 minuti e qualche volta anche di più.
Il tempo, la fatica e l’angoscia ci stava esaurendo, non tanto fisicamente, quanto psicologicamente. Vedere proprio figlio tra la vita e la morte ci devastava. Vivevamo appesi in questa situazione praticamente soli e più il tempo passava più capivamo che non esisteva una soluzione, non esisteva una cura.

Non si può curare, l’unica cosa che potevamo (e possiamo) fare è prendere cura.

Una domanda che spesso ci tornava in mente era “Ma è possibile che il sistema ci lasci da soli?” e “Quanto possiamo resistere?”.
Si resiste quasi sempre, o forse no. In questi anni di vita di Hervé abbiamo visto varie tragedie dovute all’abbandono delle famiglie che avevano al loro interno una situazione grave da gestire.
Quando Hervé ha avuto circa un anno e le sue condizioni restavano gravi, ma stabili abbiamo tentato l’iscrizione all’asilo nido.
Abbiamo chiesto alle istituzioni di organizzarsi per poter gestire la situazione sanitaria di Hervé, nutrirlo con il sondino naso-gastrico, aspirarlo e tenere la postura corretta all’asilo. Anche in questo caso nessuna risposta concreta, così Hervé non è mai andato all’asilo nido.
Hervé era destinato a restare in casa.
E noi?
Noi con lui.

Come una famiglia può gestire una situazione così grave da sola?

In Italia succede molto spesso che le mamme in situazioni simili non rientrino più al lavoro. Lo fanno per scelta personale, ma lo fanno anche perché non vedono altre soluzioni oppure proprio non ci sono alternative, ossia non esistono i servizi adeguati a domicilio in grado di prendere cura del bimbo in assenza dei genitori.
Loro si sostituiscono allo Stato e restano in casa ad accudire il bimbo disabile.
Queste persone le chiamano caregiver e l’Italia è uno dei pochi paesi dell’Unione Europea che non riconosce tale figura da nessun punto di vista.Sono delle persone che all’interno del nucleo familiare rinunciano alla propria vita per prendersi cura di un disabile o di un non autosufficiente.
Non ci sono molte statistiche o studi sulla loro qualità di vita, loro per il sistema non esistono. Dalle ultime ricerche in teoria non si sa neanche con esattezza quante sono. Sono disoccupate dal punto di vista del mercato del lavoro e tutto il loro tempo lo dedicano ad assistere un familiare fragile.

Non solo la caregiver

Ho sempre immaginato che prima o poi sarei rientrata al lavoro. In ogni situazione bisogna continuare a vivere e io volevo essere una mamma per i miei figli e non solo la caregiver di Hervé. Quando ho comunicato alle istituzioni socio-sanitarie il mio desiderio di rientrare al lavoro almeno per un paio di ore a settimana e quindi la necessità di trovare una soluzione per accudire Hervé in mia assenza mi sono sentita dire che non c’era una soluzione.
Non potevo permettermi di tornare al lavoro perché ho un figlio disabile grave che necessita di essere assistito a domicilio e lo devo fare io.
Mi hanno detto che in Valle d’Aosta non sono mai stati attivati servizi a domicilio a favore di chi era in una situazione come la nostra.
Ho urlato che è discriminatorio, che ogni persona deve poter scegliere, che psicologicamente non ce la faccio più, che umanamente non è possibile. Ho urlato per un paio di mesi, ma le urla non hanno cambiato nulla. Quando Hervé ha compiuto 14 mesi abbiamo assunto a nostre spese un’infermiera pediatrica per poche ore a settimana, per verificare concretamente la possibilità di lasciare a domicilio e in piena sicurezza nostro figlio.
Il costo di un infermiere libero professionista, iscritto all’albo professionale, che può secondo la legge compiere gli atti medici (nutrirlo con il sondino, aspirarlo e garantire l’incolumità) è elevato. A marzo del 2016 sono rientrata al lavoro e l’infermiera 15 ore a settimana è rimasta con Hervé a casa. L’abbiamo pagata noi e nel frattempo abbiamo continuato a chiedere per iscritto i servizi assistenziali a domicilio.
Alla fine, con molta fatica, una soluzione per un anno è stata adottata con il contributo della Regione. Un progetto sperimentale che prevedeva il rimborso della buona parte delle spese dell’assistenza infermieristica. Un anno per monitorare il tutto e poi decidere cosa fare di seguito in modo più definitivo.
A causa dei problemi del bilancio pubblico si sono accumulati i ritardi nei rimborsi e così abbiamo anticipato tanto denaro per i servizi assistenziali a domicilio a tutela di nostro figlio.
Il progetto è finito il 31 marzo 2017 e con estrema fatica e sei mesi di ritardo difficili da sostenere è ripartito per un altro anno (fino a 31 marzo 2018). Si tratta di una soluzione comunque imperfetta perché molto precaria, che non garantisce serenità, anzi crea insicurezza sul futuro.
Hervé richiede un’assistenza continuativa di tipo infermieristico e lo attestano e hanno sottoscritto anche i medici che lo seguono.
Nessuno ha chiesto a noi genitori se siamo in grado di garantire questo tipo di assistenza a domicilio in modo continuativo: psicologicamente, fisicamente, ma anche finanziariamente.
Come famiglia ce la facciamo? Nessuno ha chiesto a me, mamma e donna, se voglio diventare un caregiver e sostituirmi alle istituzioni pubbliche nel prendere cura 24 ore di un disabile, senza aver diritto alla vita familiare, personale e professionale.
Penso che nessuna famiglia possa farcela da sola, che le istituzioni non possano lavarsi le mani e fregarsene dei diritti dei disabili e delle loro famiglie, in particolare, delle donne che spesso non hanno una scelta.

Aiutaci a difenderci da un sistema che da più di due anni ci sta distruggendo, come famiglia, come persone e come cittadini.

Aiutaci ad aiutare anche altre famiglie, che vivono in situazioni simili in silenzio e solitudine. Noi sappiamo che loro ci sono, che hanno bisogno di sostegno, di voce e di coraggio per osare a cambiare.
Da più di due anni ci stiamo difendendo da soli, continuiamo a scrivere, a reclamare le risposte, continuiamo a fare le riunioni con le strutture responsabili e no per discutere del problema di assistenza a domicilio di Hervé.
Infine nell’esasperazione abbiamo fatto anche un esposto in Procura. Tutto questo non ha portato ad una soluzione per nostro figlio e per la nostra famiglia.
Dopo tantissimi mesi di solitudine e di disperazione causate da un sistema inefficace, come mamma e donna, ho deciso che non voglio più stare in silenzio.
Vorremmo trasformare la nostra disperazione in una risorsa, l’Associazione, per noi e per tutte quelle famiglie che non riescono ad ottenere le risposte da parte del sistema, ma non vogliono mollare.

Questa Associazione nasce

  • per sostenere le famiglie con i bambini disabili gravi per i quali il sistema socio-sanitario italiano non prevede soluzioni adeguate per garantire le migliori cure e assistenza a domicilio e preservare la vita famigliare,
  • per aiutare a reclamare i propri diritti, il diritto ad una vita il più possibile normale, anche se con un bimbo disabile grave,
  • per dare un po’ di luce ai fratelli dei bambini disabili e farli uscire dall’ombra nella quale spesso vivono,
  • per analizzare i fenomeni legati alla disabilità,
  • per diventare un punto di riferimento di mamme dei bambini disabili gravi che cercano di non mollare la vita professionale che garantisce a loro non solo l’indipendenza economica, ma anche la realizzazione personale.
Ci puoi aiutare, è semplice! Leggi Come sostenerci.
Agnieszka e Patrick, genitori di Hervé e di Anaïs.
Ti saremo grati se condividerai la nostra storia.