Estratto da "Ricordi, sogni, riflessioni" di C.G. Jung:
"La solitudine non deriva dal fatto di non aver nessuno intorno, ma dall'incapacità di comunicare le cose che ci sembrano importanti, o dal dare valore a certi pensieri che gli altri giudicano inammissibili. La solitudine cominciò con le esperienze dei miei primi sogni, e raggiunse il suo culmine al tempo in cui mi occupavo dell'inconscio. Quando un uomo sa più degli altri diventa solitario. Ma la solitudine non è necessariamente nemica dell'amicizia, perché nessuno è più sensibile alle relazioni che il solitario, e l'amicizia fiorisce soltanto quando ogni individuo è memore della propria individualità e non si identifica con gli altri".
La solitudine è qualcosa che conosco in profondità e sul cui concetto ho meditato molto. Forse per la prima volta, non condivido totalmente il pensiero di Jung. La solitudine, per quanto l'esperienza mi ha insegnato, è qualcosa che ci appartiene e che gli altri specchiano solamente. Rappresenta, infatti, una mancata accettazione di noi stessi: questo crea un vuoto nella nostra interiorità e ci rende il restare soli penoso e denso di sofferenza. La dinamica mentale scatenata da questo vuoto è la ricerca sfrenata di accettazione da parte degli altri, con l'annesso dolore derivato dall'illusione che l'altro possa accettarmi, quando io stesso non sono in grado di farlo. Ho impiegato anni a maturare questo passaggio. Quando sono arrivata alla totale accettazione di me stessa, la solitudine si è trasformata da mancanza in pienezza e libertà. Definirei la solitudine a cui fa riferimento Jung con il termine isolamento: l'isolamento non deriva dal fatto di non aver nessuno intorno, ma dall'incapacità di comunicare le cose che ci sembrano importanti, o dal dare valore a certi pensieri che gli altri giudicano inammissibili. Questo isolamento è vissuto con grande dolore quando la solitudine è mancanza di accettazione. E' un processo profondo e articolato quello dell'accettazione, ma proprio quando riesco a portarlo a compimento entro me stesso, acquisisco la mia individualità. Quell'individualità che non mi fa sentire in balia del giudizio, del confronto, dell'accettazione da parte dell'altro. Quell'individualità che mi permette di manifestarmi per quello che sono e di accettare l'altro per com'è. Non vi è la presunzione di essere migliori o la percezione di non essere all'altezza, ma solamente la consapevolezza dell'essere. Decade il bisogno di condividere la conoscenza senza discernimento e si impara il grande valore del silenzio.