Quando ci troviamo in un ambiente buio e sconosciuto ci sentiamo fragili e insicuri.
Non abbiamo la padronanza del movimento e non possiamo contare sulla vista per orientarci. Dobbiamo acuire udito, olfatto, tatto e sensibilità, sperimentando una nuova narrazione.
Non ci siamo resi conto di aver investito moltissimo sulla vista trascurando gli altri sensi a nostra disposizione. Abbiamo disimparato ad ascoltare, ad annusare le persone, a toccarle e a scorgerne l'anima. Le guardiamo con la lente del giudizio, barricati nelle nostre credenze e nei nostri pregiudizi perché abbiamo smesso di vedere noi stessi.
Ci siamo infilati nel labirinto del conosciuto con la presunzione di aver capito il mondo, ma rimaniamo spiazzati di fronte alla sua trasformazione. Guardiamo e giudichiamo tanto, ma la nostra cecità è evidente ad uno sguardo consapevole.
Le nostre priorità sono essere visibili ed avere visibilità. Se sono visibile esisto e se ho visibilità mi sento al sicuro. Presupposti che non funzionano in un ambiente poco illuminato e sconosciuto come la realtà attuale.
Come poniamo rimedio alla questione?
Intraprendiamo percorsi a caso, pur di muoverci e mettere a tacere le nostre insicurezze, oppure scivoliamo nell'indolenza inconsapevole, immergendoci in programmi per non pensare. Mettiamo a tacere temporaneamente quei pochi segnali che sfondano il muro della nostra incapacità di ascoltare.
E se accogliessimo l'assenza di visibilità come una direzione da intraprendere per esplorare gli altri sensi?
Foto Donatella Coda Zabetta