sabato 28 novembre 2020

I PASSAGGI NEL PERCORSO VERSO LA CONSAPEVOLEZZA

 Quando percorri la spirale che conduce al tuo centro, puoi avere l'impressione di percorrere gli stessi passi, più e più volte. 
In effetti ci sono stazioni in cui devi fermarti ripetutamente: all'inizio sono così affollate che non riesci neanche a vedere il treno su cui devi salire, poi ripassandoci la folla si dirada e diviene più semplice comprendere quale sia il treno giusto per te.
I passaggi, quelli che ti cambiano la vita, hanno bisogno di tempo e di maturazione; hanno bisogno di coraggio e di tanta pazienza. Li prepari tu stesso compiendo tanti piccoli movimenti e accumulando esperienze e informazioni fino al momento in cui sei pronto a tirare le fila del vissuto.
Capisci di essere finito in stazione per l'ennesima volta quando la vita ti spiazza al punto da indurti a fermarti per osservare con maggior consapevolezza quanto stai vivendo. E quando ti fermi vedi la ferita che deve essere guarita: alla prima stazione dovrai solamente tamponare il sangue che fuoriesce, alla stazione successiva la benderai cercando di cicatrizzarla, all'ennesima fermata la sbenderai e controllerai che la pelle si sia riformata fino a completa guarigione quando toccandola non percepirai più dolore.
La prima volta potrai restare impressionato dal sangue che fuoriesce dalla ferita e girarti dall'altra parte, sentendoti soffocare in mezzo alla gente che affolla la tua stazione. La vita ti porterà nuovamente a scendere a quella stazione fino a quando sarai pronto a vedere e a fare la tua parte.
Ma cosa accade quando finalmente vedi il treno e comprendi che aspetta proprio te?
Beh, ci sali sopra, no? 
Le nuove avventure iniziano proprio dal completamento di quelle appena vissute.



Foto di Skitterphoto da Pexels

mercoledì 25 novembre 2020

GIORNATA CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE


Per seminare consapevolezza.

Per riflettere.

Per esplorare come le violenze subite possano avere strascichi lunghi e dolorosi.

Per non chiudere gli occhi mai più di fronte alla violenza.

domenica 22 novembre 2020

LE OMBRE DEL FEMMINILE

 Le ombre del femminile fendono l'aria e le anime.

Le ombre del femminile si allungano silenziose e ti circondano subdole.

Le ombre del femminile si nutrono di invidia, gelosia, rabbia, inconsapevolezza.

Le ombre del femminile annebbiano la mente e oscurano il cuore.

Le ombre del femminile si manifestano quando smetti di osservarti 

per ergerti a giudice di altre donne.

Un giudice spietato, aggressivo, inclemente, squilibrato

che ha dimenticato la sua vera natura

e rinnega la sorellanza.

Ti sei mai chiesta cosa significa essere Leila?

Donatella Coda Zabetta

martedì 10 novembre 2020

COVID-19: E' COME ESSERE IN GUERRA?

 L'altra settimana, dopo un intervento 118 con paziente Covid, sanificavo l'ambulanza con la collega quando lei, inaspettatamente, ha affermato: "E' come essere in guerra" e di fronte al mio sguardo sbigottito ha aggiunto "Hanno messo il coprifuoco". 
Quelle parole ascoltate in un contesto di grande affaticamento sono scivolate via, ma hanno messo radici all'interno di me e alla distanza ho dovuto farci i conti.
Dopo i servizi 118 il mio corpo rimane teso per un paio di giorni a segnalare le resistenze che sto mettendo in atto e anche la mia meditazione cambia ed è volta a riportarmi al centro e in equilibrio. 
Razionalmente ho subito associato le rigidità percepite alla paura del contagio, allo stress della gestione del servizio, al carico psicologico del vissuto, ma oggi, quando la meditazione è tornata ad essere silenzio e ascolto, quella parola "guerra" è tornata a manifestarsi per aiutarmi a fare chiarezza.
Ho sempre associato la parola guerra ad uno scontro tra uomini appartenenti a coalizioni con ideologie religiose, politiche o economiche conflittuali, ma il Covid come poteva rientrare in un simile contesto?
Ad un'analisi più approfondita sono emersi spunti interessanti. 
Primo: il Covid si manifesta sia fuori sia dentro di noi: il mostro dai tentacoli ha, infatti, il potere di essere infettivo e di contagiare tutti indistintamente. La sua azione non è, quindi, conflittuale, ma pacifica: non fa distinzioni di razza, di sesso, di età, di religione, di status sociale.
Secondo: ognuno di noi è vulnerabile alla malattia. 
Come mai allora la parola guerra è tornata a far capolino nella mia meditazione a distanza di giorni? 
Forse per l'intrinseco potere del Covid di scatenare conflitti fuori e dentro di noi, considerata l'evidenza che, se non ce lo siamo ancora preso, dobbiamo comunque rapportarci ad esso continuamente per i limiti imposti dal coprifuoco e le conseguenti difficoltà economiche da esso generate.
Questa situazione di grande instabilità ha dato il via allo spettacolo umano mostrando sul palcoscenico della realtà deliri di onnipotenza, confusione e tanta, troppa, inconsapevolezza.
Ad uno sguardo oggettivo e distaccato non può sfuggire quanto il Covid abbia reso manifesta la nostra interiorità.
Il lockdown non è forse la concreta manifestazione del nostro egoismo? La nostra reazione alla limitazione della libertà individuale non è forse uno specchio della mancanza di rispetto che ci caratterizza? L'aggressività verso medici e operatori sanitari non è forse manifestazione della nostra paura e incapacità ad affrontare la malattia e la morte? La negazione della realtà non sottende forse una fuga dal problema e una mancata assunzione di responsabilità di fronte ad esso?
Ci siamo abituati a non rispettare il nostro corpo, noi stessi, gli altri, a non avere limiti, a pensare in modo egoistico, a delegare le responsabilità, a giudicare... e così in primavera è nato il Covid, il seme della discordia, e ha gradualmente messo radici in noi. Ci ha travolto come un ciclone, destabilizzandoci, immobilizzandoci, mettendoci di fronte alla nostra umana natura senza mezzi termini.
In estate il fiore della discordia è silenziosamente sbocciato e nella nostra inconsapevolezza ne abbiamo osservato la bellezza in silenzio, dimenticando la sua virulenza per tornare alle nostre abitudini di sempre. In autunno il Covid ha dato il frutto della discordia e nessuno ha più potuto ignorarlo: il suo seme era già penetrato in noi in primavera, senza che ce ne accorgessimo, disgregando il sentire ed evidenziando i conflitti repressi, i non detti, le nostre fragilità e paure più profonde. E di fronte alla nostra nudità abbiamo iniziato a sbraitare contro tutti indistintamente illudendoci che le nostre urla fossero in grado di zittire il sentire. E abbiamo cominciato la nostra battaglia personale: abbiamo inveito contro chi usciva senza mascherina, abbiamo giudicato chi si metteva in gioco pur consapevole della sua fallibilità, abbiamo ideato complotti interstellari per controllare la nostra paura, ci siamo arrabbiati con chi aveva il coraggio di prendersi cura degli altri perché ci infastidiva.
La realtà dei fatti è racchiusa nei due spunti iniziali: siamo una rete. Una rete piena di buchi e di fili sfilacciati perché la maggioranza dei nodi che la compongono sono convinti di poter esistere in autonomia senza la presenza di altri nodi, come se ad essere umani e fallibili fossero solo gli altri.
Il Covid ha evidenziato il nostro egoismo, la nostra superficialità e inconsapevolezza.
Il Covid nella sua drammaticità ci invita a fare pace con noi stessi.
Non dimentichiamo mai che ogni azione manifestata, ogni parola espressa è specchio della nostra interiorità. 
Un'interiorità conflittuale e in disequilibrio a livello mondiale.
Il Covid è il frutto maturo di ciò che siamo diventati: un virus che ferma la vita.
Le difficoltà racchiudono sempre un'opportunità: accogliamo, con umiltà e rispetto, la trasformazione. 


Foto di cottonbro da Pexels


sabato 7 novembre 2020

ESSERE VOLONTARI SOCCORRITORI 118 OGGI

 Essere volontari soccorritori 118 oggi richiede molto coraggio, tanto cuore, 
nervi saldi e una dose maggiorata di energia. 

La paura del contagio è sempre presente, non ti abbandona mai: dal momento in cui attendi la chiamata della centrale, al rientro in sede dopo un intervento o, come spesso capita, dopo più interventi.
La paura accompagna ogni tua azione colmandola di consapevolezza e attenzione, ma a volte il tuo essere prudente non basta e ogni soccorritore sa bene che il rischio è sempre presente. Ed è inevitabile chiedersi se valga la pena mettere a rischio la propria salute e, conseguentemente, quella di chi ci è vicino. E' naturale e comprensibile. 
Siamo rimasti in pochi, non immuni dal dubbio continuo sulla grave responsabilità che il servizio comporta. 
E si tratta di una domanda lecita che coinvolge l'ambito interiore individuale, ma anche il contesto in cui si sviluppa. 
Non è semplice mantenere alta la motivazione sentendosi ripetere continuamente "Ma chi te lo fa fare" o leggendo notizie fuorvianti.
Non è semplice relazionarsi con la gravità dei pazienti e con il senso di impotenza che la malattia scatena in te. 
Non è semplice accettare di non poter interagire con empatia a causa del travestimento da palombaro che ti salva la vita e che rende impossibile un dialogo prolungato, un sorriso, un contatto.
Non è semplice affrontare l'angoscia o la rabbia dei parenti di chi vai a soccorrere, né sostenere lo sguardo di terrore, rassegnazione o rabbia di chi senza più forze giace nella barella accanto a te.
Non è semplice viaggiare a sirene spiegate con il paziente collegato all'ossigeno sperando che non collassi e debba essere rianimato.
Non è semplice non poter andare in bagno, non potersi toccare, non poter bere per ore intere, arrivare all'ospedale e dover attendere il tuo turno in coda ad altre ambulanze.
Non è semplice restare gentili e pazienti e relazionarsi con i colleghi del triage ospedaliero che, sotto pressione come te, sono sfiniti dal continuo lavoro, dalla gestione ordinaria al fianco di situazioni gravi e a rischio sopravvivenza.  
Non è semplice accogliere una nuova chiamata covid quando non hai ancora finito di sterilizzare l'ambulanza e te stesso fuori dall'ospedale e sai che ti tocca ricominciare tutto da capo, senza sosta.
Non è semplice iniziare un turno di sette ore e vederlo finire dopo 12 ore.
Non è semplice dover dire alla centrale che chiama continuamente che sei già impegnato in un intervento e sentirti rispondere che non c'è nessun altro disponibile e che attende tu sia libero: così corri con la tua ambulanza come un missile impazzito da una provincia all'altra del Piemonte a sirena spiegata con la consapevolezza che sei sempre in ritardo e ogni minuto può essere importante.
Non è semplice essere al fianco dei colleghi autisti che si trovano continuamente a zigzagare tra le macchine, anche tra quelle che pensano di essere più veloci e non si fermano per lasciarti passare, ma ti tagliano la strada facendoti rischiare l'incidente.
Non è semplice gestire trasferimenti da una rianimazione di un ospedale ormai saturo a quella di un altro ospedale distante anche più di cento chilometri con paziente in ventilazione assistita, medico e infermiere: la tensione è tangibile e preghi continuamente di non trovar traffico o nebbia, di non fare incidenti, di non dover affrontare imprevisti.
Non è semplice tornare a casa a fine turno, lavare e sterilizzare tutto compreso te stesso, e ricordare il vissuto sperando di non aver commesso imprudenze negli imprevisti che ogni intervento porta inevitabilmente con sé.
Non è semplice fare i conti con lo sfinimento fisico e psicologico, con la tristezza e la consapevolezza che quanto stai vivendo è reale. 
Non è semplice fare i conti con la tua vulnerabilità e con la paura costante che ti salga la febbre.
Non è semplice guardare un telegiornale  e osservare  le manifestazioni che negano quanto stai vivendo o le prese di posizione che vanificano i tuoi sforzi.
Ecco che quella domanda che ti senti ripetere spesso:"Ma chi te lo fa fare" ti rimbomba nella testa  e ti trapana le meningi, amplificando la tua stanchezza e fiaccando la tua motivazione.
E pensi a chi lo fa per lavoro, medici, infermieri, oss, dipendenti di Croce Rossa e di tutte quelle Onlus che si occupano di soccorso:  hanno vissuto la prima ondata e ora sono immersi nella seconda e non possono che sentirsi soli in questa loro missione.
Non è semplice donare la propria vita in un mondo che non ne riconosce più il valore, dove imperano inconsapevolezza, egoismo e giudizio. 
Personalmente sono dell'idea che ognuno di noi può fare i conti solo con se stesso, ma in una relazione squilibrata le energie si esauriscono prima con inevitabili conseguenze. 
Facciamo tutti parte di una rete che a causa del Covid si è espansa oltre i confini nazionali coinvolgendo l'uomo indipendentemente dalla nazionalità, dal colore della pelle, dal sesso e dallo status sociale. 
E ogni nodo di quella rete è importante ed è responsabile della sua tenuta: ragion per cui ognuno di noi dovrebbe meditare a fondo sulla risposta alla fatidica domanda "Ma chi te lo fa fare" con un bel cambio di prospettiva. 
Non è questione di essere altruisti, ma consapevoli. 
Ognuno di noi è parte di quella rete, che gli piaccia o meno. 
Quindi se non vuoi fare nulla per gli altri perché in questo momento così difficile riesci a pensare a malapena a te stesso, fai almeno questo in modo consapevole. 
E assumiti la responsabilità della tua salute senza sminuire o giudicare l'operato di chi sta facendo del suo meglio per tenere insieme le maglie della rete di cui sei parte anche tu. 

Essere medici, infermieri, oss, dipendenti e volontari della sanità e del soccorso,
oggi più che mai
richiede molto coraggio, tanto cuore, nervi saldi e una dose maggiorata di energia.

A voi, che lavorate ogni giorno in questa situazione così stressante,
 va, con profondo rispetto, la mia gratitudine.

Donatella Coda Zabetta

Foto di Massimo Perinotto - VAPC ONLUS