lunedì 28 dicembre 2020

IL CANDIDO SILENZIO DELLA NEVE

 Il grande larice giace immobile sotto la neve. Il bianco manto colora i rami sempreverdi ricoprendoli di magia. Poco distante la quercia, con le ultime foglie secche tenacemente ancorate ai rami, assiste partecipe allo scioglimento della neve ai primi raggi di sole: solo la continua caduta di piccole gocce e il veleggiare di sporadici fiocchi interrompono il silenzio che ammanta il paesaggio.
Contemplo grata questi due alberi che accompagnano da sempre le mie giornate: il larice con il suo portamento immutabile e imponente e la quercia in costante trasformazione.
Il larice ospita ogni anno un nido di cornacchie grigie mentre la quercia ne ospita uno di gazze. Anche cinciarelle, picchi rossi, upupe, ghiandaie, ballerine bianche, colombi, rondini e passerotti animano i loro rami in primavera, estate e autunno, mentre di notte sono le civette a ravvivare il giardino con i loro stridii. 
La natura è per me una compagna fedele, una preziosa confidente, una maestra. Oggi osservando la bellezza nella sua semplicità è stato naturale lasciarsi trasportare dalla magia.




venerdì 25 dicembre 2020

IL CARICO EMOTIVO DEL NATALE

Oggi, guardando il grande larice del mio giardino sferzato dal vento, non ho potuto fare a meno di pensare come la Terra stessa stia riflettendo il carico emotivo che aleggia nell'aria.
In un giorno simbolo di nascita associare la morte è quasi naturale. Sarà per questo che a Natale percepiamo maggiormente la mancanza di chi non è più al nostro fianco. Quest'anno alla mancanza si aggiunge la lontananza di chi, ancora presente, non può esserci vicino.
Ognuno di noi si è trovato ad affrontare difficoltà e rinunce più o meno grandi in questi mesi appena trascorsi. L'umore e i pensieri sono stati spesso annebbiati dalle lenti scure della paura, del dolore, della frustrazione, dell'insicurezza e non è stato semplice vivere la quotidianità con inalterata fiducia. 
Così siamo arrivati a Natale con la nostra gerla carica di preoccupazioni e stanchezza, specchiandoci negli sguardi smarriti degli adolescenti, nella rassegnazione degli anziani, nelle rughe sempre più scavate e nelle occhiaie delle persone mature. I bambini, che da un giorno all'altro si sono ritrovati isolati e limitati nella loro spontaneità, si sono avvicinati a loro volta al Natale con circospezione, osservando i genitori spesso nervosi vestire la mascherina, mantenere le distanze, interrompere le abituali visite ad amici e parenti. 
"Passerà lo stesso Babbo Natale?""Perché quest'anno i nonni e gli zii non vengono a mangiare da noi per Natale?""Cosa sta succedendo?""Perché il nonno bis sta male e non andiamo a trovarlo?""Perché non posso invitare i miei amici?""Perché non torni a casa?""Cosa è il Covid? Non c'è una medicina?"
Domande lecite e pesanti come macigni, che abbiamo ascoltato impotenti e rattristati dal fatto di non poter far molto per alleggerire la sincerità delle risposte.
Il mio larice scuotendo i suoi rami sussurra al cuore un messaggio importante:
"Tranquilli, il vento non dura mai per sempre. 
Mantenete salde radici e apertura,
così che il vento possa scivolare tra le fronde e spargere semi di nuove consapevolezze.
E puntate il vostro sguardo al cielo
per non dimenticare mai la sua bellezza."












giovedì 24 dicembre 2020

UN NATALE FUORI DAGLI SCHEMI

Siamo arrivati alla vigilia di Natale con il passo insicuro di chi si trova a vivere un'esperienza nuova. C'è chi ha festeggiato il Natale in anticipo, chi lo festeggerà in sordina, chi si troverà a vivere una giornata che abitualmente era un'occasione di compagnia, in solitudine.
Per tutti sarà comunque un'esperienza differente da quella degli anni precedenti. Lo sarà per come si svolgerà, ma lo sarà soprattutto per il carico che ciascuno di noi ha dovuto portare in questi mesi di Covid. In molti si troveranno a vivere il Natale con il senso di vuoto che la morte porta con sè quando ci priva delle persone a cui vogliamo bene, altri con la preoccupazione per un familiare malato, altri ancora con l'angoscia di non aver sufficienti risorse per tirare avanti. In pochi si avvicineranno a questa festività con la spensieratezza degli altri anni quando i problemi si riducevano ai regali dell'ultimo minuto, al menu del pranzo e al chi passa a prendere la nonna... 
Non ci si rende conto della ricchezza della nostra quotidianità, delle tante piccole cose a portata di mano, se non quando le si perde.
In questo Natale fuori dagli schemi vi auguro resilienza e coraggio per affrontare le difficoltà con apertura di cuore e fiducia. Non possiamo espandere le nostre energie all'esterno, ma possiamo rivolgerle all'interno per trasformare il vissuto e trovare nel cuore la forza di rinascere a nuove consapevolezze.



Foto Donatella Coda Zabetta



sabato 19 dicembre 2020

LE LIMITAZIONI E NOI

L'anno 2020 è stato l'anno delle limitazioni. Le distanze hanno di colpo rivestito un ruolo determinante nelle nostre vite. Il metro e mezzo è diventato simbolo del nostro spazio protetto e i Comuni si sono trasformati nei recinti del nostro vagabondare. Molto di ciò che abbiamo sempre dato per scontato ha smesso di esserlo.
Anche le nostre relazioni familiari e amicali hanno dovuto abdicare alle regole e conformarsi alle limitazioni: così è diventato più semplice incontrare il vicino di casa piuttosto che un genitore o un figlio.
Questo continuo confronto con la realtà, ha scatenato in molti un'analisi più profonda che ha messo in luce la propria capacità di resilienza. 
Abbiamo dovuto spesso fare i conti con l'accettazione, il lasciar andare e le aspettative deluse: e ogni volta questi passaggi hanno richiesto energia e pazienza. 
L'arrivo delle vacanze di Natale con il relativo ribaltamento delle abitudini (pranzi di famiglia, regali, visite a parenti e amici, vacanze, aperitivi e cene degli auguri, feste...) è stato il tocco finale di quest'anno fuori dagli schemi.  
L'uomo come essere sociale sta vivendo una grande crisi d'identità. Nel nostro isolamento, avaro di relazioni e di uscite pubbliche, abbiamo dovuto togliere le maschere dei tanti ruoli che ci caratterizzano per essere semplicemente noi stessi e abbiamo dovuto imparare a stare con chi siamo. 
Impresa non facile in un periodo così destabilizzante e le emozioni sono subito entrare in scena colorando la nostra quotidianità. Così abbiamo spalmato pennellate di rabbia, risentimento, paura, tristezza e disperazione qua e là, cercando di raggiungere quel mondo esterno così inaccessibile nei pochi modi a nostra disposizione: il web è stato uno di questi. Il guaio è che spesso non siamo riusciti ad ottenere soddisfazione e le emozioni sono tornate al mittente ancora più intense affinché le riconoscessimo come nostre e ce ne assumessimo la responsabilità. Ad affiancarci in questa missione lo specchio di casa.
Voglio chiudere questa riflessione con una frase molto significativa che ho letto qualche giorno fa, una frase pubblicata da Barbara Pozzo, l'autrice di Somebliss: 

"In qualsiasi luogo ti porti il tuo cammino, entraci come fosse il tuo posto."


mercoledì 9 dicembre 2020

IL NATALE DI CAGLIOSTRO - LA CASA DI SABBIA ONLUS

 Oggi voglio dedicare il post a "La casa di sabbia Onlus", un'Associazione a cui sono molto affezionata, nata per sostenere le famiglie con bambini disabili gravi.
"La casa di sabbia Onlus" ha preso vita dalla storia di Hervé, un bambino nato ad Aosta il 7 Novembre 2014 con una malattia rara che lo rende completamente invalido e che, a oggi, non ha diagnosi.
Hervé, e tanti altri bambini come lui, sono assistiti prevalentemente dai genitori, perché in Italia non si è ancora riusciti a creare un modello di cure a domicilio. Per queste famiglie è una lotta quotidiana avere assistenza a casa, un'ora di fisioterapia o un infermiere a scuola e spesso non ce la fanno ad affrontare la stanchezza, l'isolamento e il senso di abbandono generati dalla mancanza di soluzioni adeguate da parte del sistema socio-sanitario italiano.
Per questo i genitori di Hervé hanno deciso di fondare "La casa di sabbia Onlus" e io ne ammiro la forza, il coraggio e il grande cuore. 
Le attività de "La casa di sabbia Onlus" sono tante e spaziano dalla sensibilizzazione sul tema delle cure a domicilio, alla consulenza e tutela legale , all'elaborazione di modelli innovativi e alla promozione di studi e ricerche.
Per Natale la sorella maggiore di Hervé, Anais, in collaborazione con Alessia Pellegrini ha scritto una meravigliosa storia che ha come protagonisti lei, il suo fratellino e l'inconfondibile Cagliostro, il loro gatto a tre zampe color inchiostro, che non vede l'ora di conoscere Babbo Natale.
E' un libro bellissimo con delle splendide illustrazioni. Lo potete acquistare su Amazon (Il Natale di Cagliostro) o saperne di più consultando il sito de La casa di sabbia Onlus.

Ci sono libri 

che nascono dal cuore per germogliare e fruttificare in altri cuori:

"Il Natale di Cagliostro" è uno di questi. 










lunedì 7 dicembre 2020

VIAGGIARE CON GLI ALLEATI

Il percorso verso la consapevolezza è un viaggio solitario che prende forma quando ci permettiamo di esplorare la nostra interiorità. Durante questo viaggio possiamo incontrare ostacoli (le nostre resistenze) difficili da trascendere e percepire il bisogno di un aiuto. L'aiuto che cerchiamo è sempre disponibile se sapremo aprirci agli alleati del nostro sé. Per lo sciamano sono animali di potere, per il mistico sono esseri di Luce. Non ha importanza quale forma assumano gli alleati: essa è la rappresentazione simbolica di un'energia che ci appartiene e di cui non siamo consapevoli.
Quando siamo in difficoltà proviamo, quindi, ad aprirci a questa nuova esperienza. Come?
Iniziamo con la meditazione dell'albero (esercizio Meditazione e radicamento - IL CORAGGIO DI ASCOLTARSI ) per rilassare il corpo e trovare equilibrio e centratura. La consapevolezza di essere in uno spazio protetto ci permetterà di aprirci all'ascolto. Identifichiamoci con il nostro albero e stiamo nella presenza. A questo punto respiriamo profondamente e disponiamoci a ricevere l'aiuto di cui abbiamo bisogno. Osserviamo senza filtrare chi o cosa si avvicinerà al nostro albero e accogliamo la sua presenza restando in apertura. A quel punto affidiamoci al nostro prezioso alleato e seguiamolo, ascoltiamolo, osserviamolo. E se non farà nulla? Continuiamo a essere l'albero e impariamo a stare al suo fianco. 
Arriverà il giorno in cui riconosceremo nell'alleato una parte di noi e poco per volta impareremo ad integrarla nel nostro essere.
Buon viaggio...



Foto Pixabay - ad uso gratuito (CC0)

giovedì 3 dicembre 2020

IL CORAGGIO DI ASCOLTARE

 Il coraggio di ascoltare nasce dal coraggio di ascoltarsi.

Sembra un'affermazione banale, ma non lo è affatto. E il coraggio di ascoltarsi, per approfondire ulteriormente la comprensione, nasce dalla capacità di stare in ascolto. 
Come posso ascoltarmi, se sono intento a parlare? 
E le parole possono affollare la mia mente, non solo la mia bocca. 
Una mente piena di parole non lascia spazio all'ascolto. 
L'ascolto ha bisogno di uno spazio vuoto di accoglienza per manifestarsi. 

Prima presa di coscienza: è necessario uno spazio di ascolto. 
Seconda presa di coscienza: è necessario essere presente in quello spazio di ascolto, starci dentro. 
Terza presa di coscienza: è necessario aprirsi a quello spazio di presenza e ascolto.

Prendo ad esempio qualcosa che tutti abbiamo sperimentato: vi sarà capitato di soffermarvi a  leggere il contenuto di un post di vostro interesse pubblicato sui social e poi per curiosità leggerne anche i commenti  relativi. Personalmente lo faccio spesso. E spesso ho letto commenti avulsi dal contesto che sfociavano in risposte fuori tema o in giudizi. 
Come può accadere? Chi ha letto il post non si è aperto a quello spazio di ascolto. Non ha dedicato alla lettura del post il tempo necessario allo stare nella lettura e al silenzio necessario alla sua comprensione. Ha riempito quello spazio delle sue parole.
Risultato: una Babele di lingue "incomprensibili le une alle altre" a creare chiusura e separazione. 

                                        Il coraggio di ascoltare nasce dal coraggio di ascoltarsi.

                                                         Donatella Coda Zabetta





sabato 28 novembre 2020

I PASSAGGI NEL PERCORSO VERSO LA CONSAPEVOLEZZA

 Quando percorri la spirale che conduce al tuo centro, puoi avere l'impressione di percorrere gli stessi passi, più e più volte. 
In effetti ci sono stazioni in cui devi fermarti ripetutamente: all'inizio sono così affollate che non riesci neanche a vedere il treno su cui devi salire, poi ripassandoci la folla si dirada e diviene più semplice comprendere quale sia il treno giusto per te.
I passaggi, quelli che ti cambiano la vita, hanno bisogno di tempo e di maturazione; hanno bisogno di coraggio e di tanta pazienza. Li prepari tu stesso compiendo tanti piccoli movimenti e accumulando esperienze e informazioni fino al momento in cui sei pronto a tirare le fila del vissuto.
Capisci di essere finito in stazione per l'ennesima volta quando la vita ti spiazza al punto da indurti a fermarti per osservare con maggior consapevolezza quanto stai vivendo. E quando ti fermi vedi la ferita che deve essere guarita: alla prima stazione dovrai solamente tamponare il sangue che fuoriesce, alla stazione successiva la benderai cercando di cicatrizzarla, all'ennesima fermata la sbenderai e controllerai che la pelle si sia riformata fino a completa guarigione quando toccandola non percepirai più dolore.
La prima volta potrai restare impressionato dal sangue che fuoriesce dalla ferita e girarti dall'altra parte, sentendoti soffocare in mezzo alla gente che affolla la tua stazione. La vita ti porterà nuovamente a scendere a quella stazione fino a quando sarai pronto a vedere e a fare la tua parte.
Ma cosa accade quando finalmente vedi il treno e comprendi che aspetta proprio te?
Beh, ci sali sopra, no? 
Le nuove avventure iniziano proprio dal completamento di quelle appena vissute.



Foto di Skitterphoto da Pexels

mercoledì 25 novembre 2020

GIORNATA CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE


Per seminare consapevolezza.

Per riflettere.

Per esplorare come le violenze subite possano avere strascichi lunghi e dolorosi.

Per non chiudere gli occhi mai più di fronte alla violenza.

domenica 22 novembre 2020

LE OMBRE DEL FEMMINILE

 Le ombre del femminile fendono l'aria e le anime.

Le ombre del femminile si allungano silenziose e ti circondano subdole.

Le ombre del femminile si nutrono di invidia, gelosia, rabbia, inconsapevolezza.

Le ombre del femminile annebbiano la mente e oscurano il cuore.

Le ombre del femminile si manifestano quando smetti di osservarti 

per ergerti a giudice di altre donne.

Un giudice spietato, aggressivo, inclemente, squilibrato

che ha dimenticato la sua vera natura

e rinnega la sorellanza.

Ti sei mai chiesta cosa significa essere Leila?

Donatella Coda Zabetta

martedì 10 novembre 2020

COVID-19: E' COME ESSERE IN GUERRA?

 L'altra settimana, dopo un intervento 118 con paziente Covid, sanificavo l'ambulanza con la collega quando lei, inaspettatamente, ha affermato: "E' come essere in guerra" e di fronte al mio sguardo sbigottito ha aggiunto "Hanno messo il coprifuoco". 
Quelle parole ascoltate in un contesto di grande affaticamento sono scivolate via, ma hanno messo radici all'interno di me e alla distanza ho dovuto farci i conti.
Dopo i servizi 118 il mio corpo rimane teso per un paio di giorni a segnalare le resistenze che sto mettendo in atto e anche la mia meditazione cambia ed è volta a riportarmi al centro e in equilibrio. 
Razionalmente ho subito associato le rigidità percepite alla paura del contagio, allo stress della gestione del servizio, al carico psicologico del vissuto, ma oggi, quando la meditazione è tornata ad essere silenzio e ascolto, quella parola "guerra" è tornata a manifestarsi per aiutarmi a fare chiarezza.
Ho sempre associato la parola guerra ad uno scontro tra uomini appartenenti a coalizioni con ideologie religiose, politiche o economiche conflittuali, ma il Covid come poteva rientrare in un simile contesto?
Ad un'analisi più approfondita sono emersi spunti interessanti. 
Primo: il Covid si manifesta sia fuori sia dentro di noi: il mostro dai tentacoli ha, infatti, il potere di essere infettivo e di contagiare tutti indistintamente. La sua azione non è, quindi, conflittuale, ma pacifica: non fa distinzioni di razza, di sesso, di età, di religione, di status sociale.
Secondo: ognuno di noi è vulnerabile alla malattia. 
Come mai allora la parola guerra è tornata a far capolino nella mia meditazione a distanza di giorni? 
Forse per l'intrinseco potere del Covid di scatenare conflitti fuori e dentro di noi, considerata l'evidenza che, se non ce lo siamo ancora preso, dobbiamo comunque rapportarci ad esso continuamente per i limiti imposti dal coprifuoco e le conseguenti difficoltà economiche da esso generate.
Questa situazione di grande instabilità ha dato il via allo spettacolo umano mostrando sul palcoscenico della realtà deliri di onnipotenza, confusione e tanta, troppa, inconsapevolezza.
Ad uno sguardo oggettivo e distaccato non può sfuggire quanto il Covid abbia reso manifesta la nostra interiorità.
Il lockdown non è forse la concreta manifestazione del nostro egoismo? La nostra reazione alla limitazione della libertà individuale non è forse uno specchio della mancanza di rispetto che ci caratterizza? L'aggressività verso medici e operatori sanitari non è forse manifestazione della nostra paura e incapacità ad affrontare la malattia e la morte? La negazione della realtà non sottende forse una fuga dal problema e una mancata assunzione di responsabilità di fronte ad esso?
Ci siamo abituati a non rispettare il nostro corpo, noi stessi, gli altri, a non avere limiti, a pensare in modo egoistico, a delegare le responsabilità, a giudicare... e così in primavera è nato il Covid, il seme della discordia, e ha gradualmente messo radici in noi. Ci ha travolto come un ciclone, destabilizzandoci, immobilizzandoci, mettendoci di fronte alla nostra umana natura senza mezzi termini.
In estate il fiore della discordia è silenziosamente sbocciato e nella nostra inconsapevolezza ne abbiamo osservato la bellezza in silenzio, dimenticando la sua virulenza per tornare alle nostre abitudini di sempre. In autunno il Covid ha dato il frutto della discordia e nessuno ha più potuto ignorarlo: il suo seme era già penetrato in noi in primavera, senza che ce ne accorgessimo, disgregando il sentire ed evidenziando i conflitti repressi, i non detti, le nostre fragilità e paure più profonde. E di fronte alla nostra nudità abbiamo iniziato a sbraitare contro tutti indistintamente illudendoci che le nostre urla fossero in grado di zittire il sentire. E abbiamo cominciato la nostra battaglia personale: abbiamo inveito contro chi usciva senza mascherina, abbiamo giudicato chi si metteva in gioco pur consapevole della sua fallibilità, abbiamo ideato complotti interstellari per controllare la nostra paura, ci siamo arrabbiati con chi aveva il coraggio di prendersi cura degli altri perché ci infastidiva.
La realtà dei fatti è racchiusa nei due spunti iniziali: siamo una rete. Una rete piena di buchi e di fili sfilacciati perché la maggioranza dei nodi che la compongono sono convinti di poter esistere in autonomia senza la presenza di altri nodi, come se ad essere umani e fallibili fossero solo gli altri.
Il Covid ha evidenziato il nostro egoismo, la nostra superficialità e inconsapevolezza.
Il Covid nella sua drammaticità ci invita a fare pace con noi stessi.
Non dimentichiamo mai che ogni azione manifestata, ogni parola espressa è specchio della nostra interiorità. 
Un'interiorità conflittuale e in disequilibrio a livello mondiale.
Il Covid è il frutto maturo di ciò che siamo diventati: un virus che ferma la vita.
Le difficoltà racchiudono sempre un'opportunità: accogliamo, con umiltà e rispetto, la trasformazione. 


Foto di cottonbro da Pexels


sabato 7 novembre 2020

ESSERE VOLONTARI SOCCORRITORI 118 OGGI

 Essere volontari soccorritori 118 oggi richiede molto coraggio, tanto cuore, 
nervi saldi e una dose maggiorata di energia. 

La paura del contagio è sempre presente, non ti abbandona mai: dal momento in cui attendi la chiamata della centrale, al rientro in sede dopo un intervento o, come spesso capita, dopo più interventi.
La paura accompagna ogni tua azione colmandola di consapevolezza e attenzione, ma a volte il tuo essere prudente non basta e ogni soccorritore sa bene che il rischio è sempre presente. Ed è inevitabile chiedersi se valga la pena mettere a rischio la propria salute e, conseguentemente, quella di chi ci è vicino. E' naturale e comprensibile. 
Siamo rimasti in pochi, non immuni dal dubbio continuo sulla grave responsabilità che il servizio comporta. 
E si tratta di una domanda lecita che coinvolge l'ambito interiore individuale, ma anche il contesto in cui si sviluppa. 
Non è semplice mantenere alta la motivazione sentendosi ripetere continuamente "Ma chi te lo fa fare" o leggendo notizie fuorvianti.
Non è semplice relazionarsi con la gravità dei pazienti e con il senso di impotenza che la malattia scatena in te. 
Non è semplice accettare di non poter interagire con empatia a causa del travestimento da palombaro che ti salva la vita e che rende impossibile un dialogo prolungato, un sorriso, un contatto.
Non è semplice affrontare l'angoscia o la rabbia dei parenti di chi vai a soccorrere, né sostenere lo sguardo di terrore, rassegnazione o rabbia di chi senza più forze giace nella barella accanto a te.
Non è semplice viaggiare a sirene spiegate con il paziente collegato all'ossigeno sperando che non collassi e debba essere rianimato.
Non è semplice non poter andare in bagno, non potersi toccare, non poter bere per ore intere, arrivare all'ospedale e dover attendere il tuo turno in coda ad altre ambulanze.
Non è semplice restare gentili e pazienti e relazionarsi con i colleghi del triage ospedaliero che, sotto pressione come te, sono sfiniti dal continuo lavoro, dalla gestione ordinaria al fianco di situazioni gravi e a rischio sopravvivenza.  
Non è semplice accogliere una nuova chiamata covid quando non hai ancora finito di sterilizzare l'ambulanza e te stesso fuori dall'ospedale e sai che ti tocca ricominciare tutto da capo, senza sosta.
Non è semplice iniziare un turno di sette ore e vederlo finire dopo 12 ore.
Non è semplice dover dire alla centrale che chiama continuamente che sei già impegnato in un intervento e sentirti rispondere che non c'è nessun altro disponibile e che attende tu sia libero: così corri con la tua ambulanza come un missile impazzito da una provincia all'altra del Piemonte a sirena spiegata con la consapevolezza che sei sempre in ritardo e ogni minuto può essere importante.
Non è semplice essere al fianco dei colleghi autisti che si trovano continuamente a zigzagare tra le macchine, anche tra quelle che pensano di essere più veloci e non si fermano per lasciarti passare, ma ti tagliano la strada facendoti rischiare l'incidente.
Non è semplice gestire trasferimenti da una rianimazione di un ospedale ormai saturo a quella di un altro ospedale distante anche più di cento chilometri con paziente in ventilazione assistita, medico e infermiere: la tensione è tangibile e preghi continuamente di non trovar traffico o nebbia, di non fare incidenti, di non dover affrontare imprevisti.
Non è semplice tornare a casa a fine turno, lavare e sterilizzare tutto compreso te stesso, e ricordare il vissuto sperando di non aver commesso imprudenze negli imprevisti che ogni intervento porta inevitabilmente con sé.
Non è semplice fare i conti con lo sfinimento fisico e psicologico, con la tristezza e la consapevolezza che quanto stai vivendo è reale. 
Non è semplice fare i conti con la tua vulnerabilità e con la paura costante che ti salga la febbre.
Non è semplice guardare un telegiornale  e osservare  le manifestazioni che negano quanto stai vivendo o le prese di posizione che vanificano i tuoi sforzi.
Ecco che quella domanda che ti senti ripetere spesso:"Ma chi te lo fa fare" ti rimbomba nella testa  e ti trapana le meningi, amplificando la tua stanchezza e fiaccando la tua motivazione.
E pensi a chi lo fa per lavoro, medici, infermieri, oss, dipendenti di Croce Rossa e di tutte quelle Onlus che si occupano di soccorso:  hanno vissuto la prima ondata e ora sono immersi nella seconda e non possono che sentirsi soli in questa loro missione.
Non è semplice donare la propria vita in un mondo che non ne riconosce più il valore, dove imperano inconsapevolezza, egoismo e giudizio. 
Personalmente sono dell'idea che ognuno di noi può fare i conti solo con se stesso, ma in una relazione squilibrata le energie si esauriscono prima con inevitabili conseguenze. 
Facciamo tutti parte di una rete che a causa del Covid si è espansa oltre i confini nazionali coinvolgendo l'uomo indipendentemente dalla nazionalità, dal colore della pelle, dal sesso e dallo status sociale. 
E ogni nodo di quella rete è importante ed è responsabile della sua tenuta: ragion per cui ognuno di noi dovrebbe meditare a fondo sulla risposta alla fatidica domanda "Ma chi te lo fa fare" con un bel cambio di prospettiva. 
Non è questione di essere altruisti, ma consapevoli. 
Ognuno di noi è parte di quella rete, che gli piaccia o meno. 
Quindi se non vuoi fare nulla per gli altri perché in questo momento così difficile riesci a pensare a malapena a te stesso, fai almeno questo in modo consapevole. 
E assumiti la responsabilità della tua salute senza sminuire o giudicare l'operato di chi sta facendo del suo meglio per tenere insieme le maglie della rete di cui sei parte anche tu. 

Essere medici, infermieri, oss, dipendenti e volontari della sanità e del soccorso,
oggi più che mai
richiede molto coraggio, tanto cuore, nervi saldi e una dose maggiorata di energia.

A voi, che lavorate ogni giorno in questa situazione così stressante,
 va, con profondo rispetto, la mia gratitudine.

Donatella Coda Zabetta

Foto di Massimo Perinotto - VAPC ONLUS

domenica 18 ottobre 2020

LE PRESENTAZIONI DI LIBRI AL TEMPO DEL COVID

 Le presentazioni di libri al tempo del Covid assomigliano ad un sentiero tortuoso tutto in salita.  
Molte librerie hanno paura ad ospitare eventi per le restrizioni Covid, così come molti lettori hanno paura a parteciparvi. Gli autori, fiduciosi di poter diffondere la loro opera, ce la mettono tutta, ma in cima all'Everest si arriva con grande sacrificio e in numero ristretto.
Così dopo anni di indefessa dedizione alla scrittura, quando finalmente si arriva a tenere tra le mani la propria creatura, la si guarda con amore e ci si chiede come condividerne i contenuti.
Per lo meno per quanto mi riguarda è così: ogni libro scritto è nato dalla gioia scaturita dal completamento di un tratto di percorso la cui realizzazione si completa con la condivisione. Non si possono trattenere i doni.
Leila ha preso la forma di un romanzo proprio per rendere più accessibili i messaggi che ho scelto di condividere. 
L'abbandonare temporaneamente l'universo della saggistica è stato un atto di coraggio condito da un briciolo di follia. E ora che Leila si trova a navigare nell'oceano sovraffollato della narrativa ne ho la conferma. 
Sono pentita? No. Sentivo di dover attraversare questo passaggio e sentivo di doverlo fare in questo modo.
E ora che in apertura di cuore mi preparo alla condivisione, mi rendo conto quanto sia difficile donare in una realtà dominata dalla paura e dalle emozioni.
Il percorso mi ha insegnato la pazienza e forse si tratta solo di aver cura di Leila fino a quando i tempi saranno pronti ad accoglierla.
Affido ai lettori che sono pronti a conoscerla, al di là delle evidenti difficoltà del periodo che stiamo vivendo, il filo invisibile della sua Luce e resto a disposizione della rete di passaparola che confido si possa creare per approfondimenti o incontri a tema in cui sviluppare gli argomenti trattati.

"Da cuore a cuore"

Donatella




 

sabato 17 ottobre 2020

PRESENTAZIONE ON LINE : LEILA UNA STORIA COME TANTE - LIBRERIA LA FENICE

 Lunedì 19 Ottobre 2020

Ore 18:30

Dalla pagina facebook della LIBRERIA LA FENICE di Villanova d'Asti

Francesca e io parleremo di:

LEILA UNA STORIA COME TANTE



Foto Donatella Coda Zabetta

venerdì 16 ottobre 2020

GALLEGGIANDO A VISTA

 Galleggiando a vista l'orizzonte si fa sfumato, quasi invisibile.
Non è possibile guardare oltre.
 Vivere la tempesta che sembra travolgere la quotidianità è molto faticoso.
Le onde si fanno alte e vorticose come le emozioni:
restare al centro richiede forti radici e luce interiore.
Il ritrarsi nell'interiorità porta con sé domande senza risposta.
Fiducia.
Indomita e incrollabile fiducia nella trasformazione.
Gli eventi sono solo specchi,
le difficoltà, cambi di direzione.
Respiro e accolgo.
Quando tutto si fa buio,
 il fuoco del cuore può illuminare la via.

Donatella Coda Zabetta


Foto Donatella Coda Zabetta
Macugnaga 




mercoledì 30 settembre 2020

GRATITUDINE

 Mai come in questi giorni il mio cuore è colmo di gratitudine. 

Sono passati ben 4 anni dalla pubblicazione de "Il ritmo del corpo" e, nonostante questo, quando ho annunciato l'uscita del mio primo romanzo "Leila una storia come tante" ho ricevuto un grande abbraccio, virtuale e "non" da parte di lettori, librai, conoscenti e amici. Questo abbraccio mi ha commosso profondamente.
Ho sempre scritto con l'intento di condividere ciò che avevo compreso o sperimentato e che ritenevo potesse essere di supporto anche ad altri. L'ho sempre fatto con il cuore traboccante della gioia della realizzazione.
E nella mia invisibilità ho sempre continuato a studiare, osservare, ricercare e sperimentare. Spesso avara di parole in quanto non ancora pronta alla condivisione. 
Quando sono riuscita a portare a compimento "Leila", sono tornata visibile e ho trovato molti ad attendermi. 
Il mio cuore fatica a trovare le parole per ringraziarvi tutti, così lascio che sia un messaggio da "cuore" a "cuore" a rinforzare la rete che ha preso vita con le parole del "Coraggio di ascoltarsi":
 
"Ognuno di noi racchiude nel cuore l'Amore, l'essenza di quella Luce infinitamente più grande.
Ognuno di noi è libero di esprimerlo al di là di schemi e ideologie.
L'Amore deve tornare a essere parte della vita dell'uomo:
la ricerca deve essere volta all'interno di sè e tendere alla riscoperta della propria natura di Luce.
L'Amore non discrimina, non giudica, non crea divisioni nè limiti.
L'Amore unisce e condivide, 
accetta e accoglie tutti indistintamente."

Grazie 



Foto di Will Mu da Pexels


domenica 27 settembre 2020

RISPETTARE IL SENTIRE

 Quante volte siamo tristi e reprimiamo la tristezza?
Quante volte siamo arrabbiati e tratteniamo la rabbia?
Quante volte siamo stanchi e non ci permettiamo di riposare?
Quante volte non stiamo bene e facciamo finta di niente?
Quante volte vorremmo isolarci e non abbiamo il coraggio di farlo?
Quante volte vorremmo sottrarci a incombenze che non abbiamo scelto 
e le portiamo avanti comunque?
Quante volte vorremmo dire no e ci esce un sì?
E perchè questo avviene?

Spesso non sappiamo neanche più ritrovare il punto di inizio di queste dinamiche. Forse perchè risale all'infanzia e allora non avevamo scelta. Poi è diventata un'abitudine e poco per volta abbiamo perso per strada il nostro sentire. Per poterlo fare ci siamo staccati dal corpo e dalle sue esigenze e abbiamo compensato frustrazioni e disagi con le migliori giustificazioni mentali che eravamo in grado di architettare. Ci siamo adeguati a un'immagine e facciamo il possibile per tutelarla in quanto quell'immagine rappresenta il nostro spazio nel mondo. 
E' innegabile il fatto che viviamo in una realtà fatta di immagini. Immagini costruttive e immagini distruttive, ma pur sempre immagini. Siamo arrivati a questo punto con graduale e crescente inconsapevolezza. La mancanza di rispetto che si respira in ogni ambito affonda le sue radici proprio in questa mancanza di rispetto verso noi stessi.
Tornare a rispettare il sentire richiede forza di volontà, sacrifici e apertura di cuore e non è un percorso agevole in quanto si fonda sulla distruzione della nostra immagine. E senza l'immagine che ci siamo incollati addosso ci sentiamo nudi e vulnerabili. E poi potremmo anche realizzare che la vita che stiamo vivendo non ci corrisponde. Ma questo è un altro discorso.
#Leilaunastoriacometante #Ilcoraggiodiascoltarsi







sabato 26 settembre 2020

LASCIARSI ANDARE E' POSSIBILE?

 Con l'arrivo dell'autunno, i boschi dai mille colori e i tappeti di foglie che accompagnano le nostre passeggiate, l'invito al lasciarsi andare è specchiato tutto intorno a noi dal meraviglioso universo naturale.
Se osserviamo una quercia con attenzione vi noteremo foglie ancora verdi, foglie ingiallite e foglie secche pronte a staccarsi. La quercia affronta il processo del lasciar andare con pacata gradualità, tanto da rimanere completamente spoglia solo all'inizio della primavera con il riemergere dei nuovi germogli. Nel mio giardino ho una grande e amatissima quercia che per tutto l'autunno e l'inverno non smette di insegnarmi il lasciar andare e il rispetto verso la maturazione di questo passaggio: ogni giorno per mesi raccolgo le sue foglie, le ammucchio e attendo che la natura le trasformi in fertilizzante per i campi. E mentre svolgo questa attività medito sulla mia capacità di fare lo stesso con tanta naturalezza.
Perchè lasciarsi andare o lasciar andare qualcosa non è affatto facile per noi umani amanti della razionalizzazione e del controllo.
Prendo spunto da un interessante libricino che sto leggendo di Abraham J. Twerski: "Sveglia Charlie Brown! Come affrontare gli alti e bassi della vita con i Peanuts" edito Oscar Mondadori.
Scrive Twerski: "Ecco qui una buona regola pratica: se c'è qualcosa che causa un problema, è un problema. Convincerci che non lo sia, fa solamente sì che il problema continui il suo corso. Cos'è la razionalizzazione? Consiste nell'inventare buone ragioni invece di ammettere le vere ragioni. La razionalizzazione è così comune che se smettessimo di razionalizzare, il silenzio diventerebbe insopportabile. Non solo razionalizziamo quando parliamo con altre persone per dar loro giustificazioni logiche del perchè abbiamo o non abbiamo fatto una cosa, ma razionalizziamo anche in modo silenzioso e interiormente. Spesso non siamo neanche coscienti che stiamo razionalizzando."
Già. E siamo eccellenti creatori di giustificazioni quando non vogliamo lasciar andare un'immagine di noi stessi a cui siamo affezionati e non ci appartiene più, o un'abitudine o una relazione che ci rende la vita difficile e ci obbliga alla sopravvivenza. Perchè lasciar andare qualcosa che si conosce fa sempre molta paura. Meglio inventarsi mille motivi per mantenere lo status quo o negare la realtà delle cose.
Continua Twerski: "A volte le nostre vite, o alcuni aspetti di esse, diventano incontrollabili e tuttavia ci mostriamo ostinati e restii a cambiare. Perseveriamo nel nostro comportamento autodistruttivo. Spesso ci si riferisce a questo tipo di atteggiamento come alla "paura del successo". Perchè si dovrebbe temere il successo? Non è più logico preferire il successo al fallimento? La risposta è che per quanto possa essere spiacevole una sconfitta, essa ha un aspetto compensatorio. La sconfitta in generale ci evita le responsabilità, mentre il successo tende a generare nuove responsabilità. Se falliamo in un compito, non ci verrà richiesto niente di più e allo stesso tempo diminuiscono le nostre stesse aspettative su di noi. Se abbiamo successo si pretenderà che continuiamo così".
Quando ieri sera ho letto queste parole non ho potuto fare a meno di assimilarle e pensare alla mia esperienza personale considerando l'imminente pubblicazione di Leila. Il successo mi ha sempre fatto paura, ragion per cui potete immaginare l'impatto della riflessione di Twerski su di me.
Dopo l'uscita de "Il ritmo del corpo" con Mediterranee, il mio editore insistette  perchè scrivessi il seguito de "Il coraggio di ascoltarsi". Il mio primo libro aveva ottenuto un ottimo riscontro dal pubblico e una seconda pubblicazione in questa direzione avrebbe facilmente avuto la strada spianata verso il successo. Non ci riuscii. Ci provai infinite volte, ma senza riuscirvi. Avevo materiale e idee in abbondanza per poterlo fare in quanto dalla pubblicazione del Coraggio il mio percorso si era arricchito di tante nuove esperienze e consapevolezze. Eppure qualcosa mi spingeva altrove.
Leggendo Twerski è stato naturale domandarmi se a direzionare il mio cambio di rotta fossero le aspettative che altri riponevano in me o la paura del successo. Forse entrambi. O forse no. Non ho mai scritto con l'intento di scalare le classifiche, ma perchè la gioia della realizzazione nel percorso era un traboccare che trovava la sua manifestazione nella condivisione. 
In questi anni è stato inevitabile chiedermi le ragioni alla base della folle impresa di scrivere un romanzo. Mediterranee non pubblica romanzi e avrei dovuto ricominciare da zero rinunciando alle entrature che avevo a disposizione. Stavo inevitabilmente virando verso il mondo dello sconosciuto e delle infinite possibilità.
La grande quercia, nel suo maestoso silenzio, mi rimandava il tacito messaggio della maturazione del lasciar andare e quando una notte la luna mi sussurrò "Buttati" iniziai a scrivere Leila e non smisi più fino al momento in cui la terminai. Ed oggi, che grazie a Giancarlo Caselli, e Golem Edizioni ho il romanzo tra le mani sento di aver seguito il cuore al di là di tutte le pippe mentali.
Sono pronta ad assumersi la responsabilità di questa nuova pubblicazione? Sì. 
Ancora una volta ho trovato il coraggio di ascoltarmi e di non aver paura a fare il mitico salto nel vuoto.

#Leilaunastoriacometante #Ilcoraggiodiascoltarsi


Foto Donatella Coda Zabetta - La grande Maestra



 


domenica 20 settembre 2020

IL RACCONTO COME SPECCHIO

Ieri sera, parlando di Leila con una cara amica ex libraia, è stato naturale ricordare i saggi editi da Mediterranee, che grazie a lei avevo presentato in più occasioni, e meditare sulla scelta di scrivere un romanzo di formazione al femminile.
Quando Paola Neyroz (Il giocatore di carte) mi ha donato l'opportunità di far parte di "Maria Venere" in compagnia di altre donne, ho scritto, ascoltato e condiviso tantissime storie scaturite dai suoi incipit in un progetto di approfondimento sul femminile.
In quell'occasione è stato naturale osservare con attenzione le dinamiche, le similitudini tra le storie, l'emersione di parti più profonde e spesso "accantonate", le paure, le emozioni e l'empatia scaturite dalla condivisione delle storie che come un filo invisibile ha guidato il gruppo fino al termine del progetto.
Proprio integrando queste esperienze in meditazione è arrivata Leila: "Lei è là": donna e specchio.
Scoprii poi che Leila deriva dal nome arabo "Laylah" che vuole dire "notte" e la sincronicità con la mia fonte ispiratrice, la luna, mi è sembrata perfetta. Femminile, luna, specchio, incosncio.
L'immediato collegamento con la Principessa Leila di Star Wars, con le sue ombre, la sua forza e la sua ribellione mi confermarono ulteriormente quanto questo nome fosse azzeccato per la protagonista del romanzo.
Il filo invisibile che lega indissolubilmente Leila ai miei due primi volumi è proprio racchiuso in lei, nelle sue scelte, nei suoi comportamenti e nelle sue relazioni. Il tema del femminile non può, infatti, essere trattato compiutamente senza scrivere del maschile specchiando la totalità che appartiene ad ognuno di noi.







giovedì 17 settembre 2020

LEILA UNA STORIA COME TANTE

Con la luna piena, il 3 agosto, ho finito l'editing del mio primo romanzo. 
Con la luna nuova, pochi minuti fa, il corriere mi ha consegnato le prime copie del libro. 
Con la luna piena, il primo ottobre, "Leila una storia come tante" sarà disponibile in libreria.

La sincronicità di questo libro con le fasi lunari non smette di sorprendermi. 

L'idea di scrivere un romanzo è maturata nel mio cuore con gradualità. 
Percepivo da tempo l'intimo bisogno di scrivere sul femminile 
e spesso mi sono chiesta quale fosse il modo migliore per farlo. 
La risposta arrivò una notte di luna piena di due anni fa. 
Da quel momento non ho più smesso di dialogare con la luna.
Ne è nata una storia, una storia al femminile.






LASCIAR ANDARE LE BARRIERE: LA LUNA NERA

A volte è la vita stessa a sottoporci a così tante difficoltà tutte insieme da destabilizzarci al punto da creare una breccia all'interno delle  barriere che abbiamo sapientememnte costruito per difenderci dal mondo (e dalla nostra fragilità). In quei momenti, che a noi appaiono allucinanti, quando la realtà sembra collassarci addosso senza pietà, viviamo con tale intensità le emozioni da perdere il controllo.
Il confine tra luce e ombra sparisce nel buio del nostro sentire. Le nostre paure più profonde diventano tangibili e ci svelano parti di noi stessi che avevamo accuratamente riposto nelle cantine dell'inconscio.
La luna nera scompare nel cielo notturno permettendoci di osservare stelle e pianeti con maggior chiarezza. 
Ed è proprio nel buio dell'anima che la nostra luce più rifulgere. Non ha importanza se sembra un puntino lontanissimo e irraggiungibile. E' chiaramente presente in attesa del nostro risveglio.

#Leila una storia come tante



Foto di tommy haugsveen da Pexels


sabato 12 settembre 2020

DIFENDERSI DALLA PROPRIA FRAGILITA' E' FUNZIONALE?

Siamo istintivamente portati a creare barriere per difenderci. Soprattutto quando ci sentiamo fragili e vulnerabili.  Siamo convinti che indossando un'armatura, nulla potrà più ferirci. Alla resa dei conti è così?

Ognuno di noi ha i propri punti deboli. Nessuno escluso. E' parte della nostra umanità. 
Quando indossiamo l'armatura con l'intenzione di schermarci dagli altri, la indossiamo inconsciamente nei confronti delle nostre fragilità con  la convinzione di poter essere immuni o di poter controllare il dolore. 
Ci immobilizziamo dietro barriere illusorie e diventiamo sempre più rigidi. 
Con il tempo dimentichiamo pure il motivo per cui abbiamo iniziato a costruire alte mura dentro e intorno a noi. 
Congeliamo le ferite, i sentimenti, le emozioni. 
Non proviamo  più nulla, neanche il dolore, forse. 
E sopravviviamo alla nostra indifferenza accumulando rabbia e frustrazione.
Tutto ci infastidisce quando lo vediamo riflesso negli altri e lo giudichiamo sentendoci superiori e forti per via della nostra insensibilità.
E in un deserto di apatia saliamo in cattedra scivolando via dalla nostra responsabilità più grande: quella del rispetto verso noi stessi. 
Rispetto per il nostro corpo sempre più dilatato e bistrattato, rispetto per il nostro cuore congelato, rispetto per i nostri polmoni affaticati e per i nostri occhi spenti, rispetto per la nostra intelligenza.

#Leilaunastoriacometante



Foto di Maria Pop da Pexels



giovedì 10 settembre 2020

UN FEMMINILE SOTTO ACCUSA

 Non so quale strano meccanismo si instauri, ma una cosa è certa: quando si parla di femminile si scatena una malcelata aggressività. Aggressività più manifesta rispetto al passato forse per la mancanza di freni inibitori determinata dal traboccare della frustrazione maturata in periodo Covid.
L’uomo è naturalmente portato ad esternare la propria rabbia convinto che l’espressione della stessa ne riduca l’intensità. Ovviamente la rabbia deve scaricarsi su soggetti più vulnerabili perché questa giustificazione mentale possa funzionare: puoi scaricare la tua immondizia addosso a qualcun altro solo a patto che chi la riceve sia considerato una discarica dalla società. L’unirsi in branco in uno sbrodolamento di aggressività condivisa diminuisce il senso di colpa e acuisce la percezione di essere socialmente autorizzati ad agire.
A farne le spese le categorie da sempre più stigmatizzate. O le categorie che cercano di uscire dagli schemi. Per quanto riguarda le donne, scrollarsi di dosso canoni di bellezza, modi di vestire, ruoli e doveri determinati da secoli di pregiudizi non è semplice. E’ un percorso tutto in salita lungo il fiume dell’anticonformismo alla ricerca di una libertà individuale determinata dal sentire interiore e non dalle possibilità esterne di espressione.
La trasformazione richiede sempre un’opera di distruzione del conosciuto per poter ricostruire il nuovo su fondamenta più solide. E questo passaggio non è mai indolore.
Guardare alle cose cambiando prospettiva è sempre segnale di grande coraggio.
#Leilaunastoriacometante 

                                                             Donatella Coda Zabetta

                                                                             

                                                              Foto di Herman. io da Pexels








lunedì 7 settembre 2020

ESPLORANDO IL FEMMINILE 3: SESSO ED EGOCENTRISMO

Faccio seguito ai post precedenti considerando le tante e intense reazioni da essi scatenate.
È sufficiente parlare di libertà (di essere se stessi, di scelta) e di anticonformismo (atteggiamento di rifiuto nei confronti di una passiva accettazione di idee, principi, usi e comportamenti convenzionali o comunque prevalenti nella maggioranza - cit. Treccani) al femminile per scaldare gli animi e aprire le porte al giudizio. Giudizio spesso riferito all’ambito sessuale (esiste solo quello?) e fondato su uno spiccato egocentrismo.  Devo ammettere che non ne sono rimasta sorpresa considerando il disequilibrio maschile/ femminile visibile in una realtà fin troppo esplicita e specchio di un’interiorità individuale sofferente in quanto incompleta. Spesso infatti si dimentica che maschile e femminile sono presenti in ciascuno di noi. E il nostro corpo, che lo sa, ce lo dimostra con la sua innegabile semplicità: quanti di noi sono in grado di mantenere una stazione eretta e rilassata a piedi allineati e uniti senza oscillare e perdere l’equilibrio?



Foto di Roberto Nickson da Pexels