Osservando la realtà, mi è capitato spesso di notare quanto le persone si trasformino in semplici numeri: che sia in coda al banco del supermercato o in banca o per una visita medica, non ha grande importanza. Probabilmente questa soluzione si è rivelata necessaria per mantenere ordine e disciplina, sebbene a volte capiti comunque di vedere veri salti acrobatici tesi a recuperare qualche posizione nella lunga lista d'attesa.
Quello che mi ha indotto a riflettere profondamente è il fatto che questi numeri rimangano poi appiccicati addosso alla persona perdendo la loro funzione iniziale e guadagnandone una di tutt'altro tipo.
Quando arriva il proprio turno, infatti, difficilmente viene riconosciuta l'umanità e l'unicità della persona: si viene trattati come un'incombenza numerica da svolgere nel minor tempo possibile.
Fa sempre piacere essere visti e ascoltati, ma probabilmente questa possibilità in un mondo in corsa frenetica viene vista come una perdita di tempo.
Se devo fare un semplice versamento può essere tollerato, ma se devo decidere un investimento che vincolerà la mia vita?
Se devo acquistare un etto di formaggio può essere tollerato, ma se quella fosse l'unica possibilità di scambiare due parole nel corso della giornata?
Se devo farmi prescrivere degli esami può essere tollerato, ma se da quella visita medica dipendesse una decisione importante?
Può essere tollerato, non significa, da parte mia, condividere un atteggiamento che non riconosce l'umanità della persona: è il nostro dono più prezioso e il non valorizzarlo è sempre una grave perdita, resa ancor più pesante nel secondo caso.
Pur con il grande amore che nutro per i numeri, essere numeri in carne ed ossa è una rinuncia forzata alla propria libertà di scelta.
Chi mi leggerà, rifletta su queste parole e comunque svolga la propria giornata cerchi di farlo aprendosi all'altro, alla sua umanità e alla sua unicità. Ne deriverà una grande ricchezza interiore.
"Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell'avere nuovi occhi".
M. Proust