sabato 25 aprile 2020

LO SPAZIO VITALE DELLA LIBERTA'

Possiamo immaginare il nostro spazio vitale come un cerchio di cui siamo il centro. All'interno della circonferenza è garantito il benessere psico-fisico personale. La circonferenza delimita cioè lo spazio che ci è indispensabile per stare bene con noi stessi e con gli altri. Lo spazio del nostro respiro. La circonferenza si espande quando vogliamo rilassarci e respirare in profondità. Si tratta dei momenti in cui abbiamo bisogno di dedicarci a noi stessi e di recuperare le energie; sono i momenti introspettivi della solitudine. La circonferenza si contrae quando, al contrario, ci immergiamo nella quotidianità e il nostro spazio si inserisce in una fitta rete di relazioni. 
Le fluttuazioni del diametro della circonferenza fanno parte del naturale dispiegarsi delle cose, ma devono rispettare l'equilibrio intrinseco determinato dal mantenimento del benessere psico-fisico individuale. Il benessere generato dal ritmo del nostro corpo che per essere in forma ha bisogno dell'alternarsi di attività e riposo, di un'alimentazione equilibrata e di relazioni bilanciate dal rispetto individuale.
Prima del virus potevamo incontrare cerchi di tutti i tipi: piccoli e grandi, medi e bislacchi, rossi, gialli, blu e di tutti colori dell'arcobaleno, cerchi bucati e cerchi cerchiati.
C'era chi aveva espanso il proprio diametro tanto da occupare lo spazio di almeno 100 cerchi e chi al contrario l'aveva ridotto tanto da divenire invisibile. Chi ribolliva di rabbia al punto da avere un cerchio pieno di spuntoni e chi, incapace di dire no, aveva un cerchio pieno di buchi. 
Nel mondo dei cerchi regnava una gran confusione di priorità: tutto sembrava essenziale e nulla sembrava mai abbastanza. E i cerchi rotolavano frenetici in ogni direzione come la sabbia travolta dall'infrangersi delle onde sulla battigia. 
Quando il virus fece la sua comparsa all'interno dei primi cerchi, dipingendoli del colore della morte e riducendone gradualmente il diametro, gli altri cerchi si spaventarono e di colpo la paura creò vuoti e distanze ovunque riportando i diametri delle circonferenze a misure più contenute.
La paura era come una scossa veicolata nell'etere, potente come una Medusa che pietrificava chi osava guardarla. Qualche cerchiolino disperato rotolò via terrorizzato e qualche altro tentò di allargare il proprio spazio vitale sfidando la paura, ma era impossibile infilarsi tra i cerchi sempre più gonfi e ingombranti di coloro  che raccontavano la paura.
A forza di contrazioni ed espansioni controllate qualcosa cambiò. 
I cerchiolini dal respiro sempre più contratto notarono la contraddizione: mancava l'aria sempre e comunque.  Qual era la differenza tra il rimanere pietrificati dalla paura e il non poter respirare? 
Alla notizia che i cerchi avrebbero dovuto indossare il guinzaglio per potersi espandere nuovamente, i cuori si unirono in un unico respiro, quello della libertà.



Foto di Kevin Menajang da Pexels

martedì 21 aprile 2020

IL VIRUS E' DENTRO DI NOI

Il virus è dentro di noi: nei nostri pensieri, nelle nostre paure, nelle nostre emozioni represse e manifestate. Il virus ha invaso ogni nostra cellula e noi lo abbiamo permesso idealizzando un nemico invisibile in grado di ucciderci. 
Il virus è dentro di noi. Lo è sempre stato: è la nostra ombra. Un'ombra capace di oscurare il discernimento e di dar forma al nostro delirio di onnipotenza. Un'ombra subdola, manipolatrice, patologica.
Il virus è dentro di noi e noi continuiamo a cercarlo all'esterno. Lo cerchiamo dove non lo troveremo mai perchè ci terrorizza trovarcelo davanti. Così ogni giorno addebitiamo le nostre ombre al carnefice di turno, immolandoci a vittime sacrificali. E ogni giorno i carnefici di turno rivendicano il loro essere vittime di una rabbia distruttiva e indolente. Chi fa sbaglia, chi non fa accusa.
Il virus è dentro di noi e risveglia il nostro istinto animale di sopravvivenza. Fuggiamo, combattiamo, ci fingiamo morti. Pochi hanno il coraggio di guardare l'ombra e riconoscerla al proprio interno assumendosene la responsabilità.
Il virus è dentro di noi e noi lo proiettiamo sullo schermo della nostra quotidianità. Un horror oscuro e inquietante di cui siamo gli inconsapevoli attori protagonisti. E indefessi recitiamo la nostra parte dando la caccia ad un virus che fa di tutto per ucciderci, senza renderci conto che quel virus è parte di noi. E' parte del nostro suicidio di massa, della nostra rinuncia alla libertà.
Il virus è dentro di noi e noi non vogliamo riconoscerlo. Preferiamo non vederlo e continuare a dar la caccia alle streghe. Da sempre l'uomo crea nuovi nemici da combattere pur di non affrontare la  propria ombra.
Il virus è dentro di noi e noi recitiamo la parte dei cavalieri senza macchia. Non vediamo che la rabbia che ci circonda è la nostra stessa rabbia, che l'egoismo che ci fa ribrezzo è il nostro stesso egoismo, che l'indifferenza che contestiamo è la nostra stessa indifferenza.
Il virus è dentro di noi e continuerà a proliferare indisturbato fino a quando non ce ne prenderemo cura. Non è possibile eliminarlo senza eliminare l'uomo stesso. Abbandoniamo l'ascia di guerra e vestiamo i panni di chi abbiamo innalzato al ruolo di eroi curando noi stessi, rimettendoci in discussione, facendo i conti con la nostra ombra. Non possiamo dissociarci da una parte di noi senza disumanizzarci. Solo sperimentando il nostro buio, sapremo comprendere quello di chi ci è accanto e crescere insieme.


Foto di Maria Pop da Pexels



sabato 18 aprile 2020

HO PAURA DI VIVERE

Ho paura di vivere perchè potrei morire.

Che effetto vi fa leggere queste parole? 
Buffa affermazione, non c'è che dire. Non fosse che questa buffa affermazione rappresenta la fotografia di quanto stiamo vivendo.
Non riesco a comprendere se siamo rimasti fulminati dalla consapevolezza di essere mortali.
La paura è irrazionale e ha dominato i pensieri e annebbiato le menti al punto da indurle a credere di poter controllare la morte.
E per farlo quasi tutti ci siamo immobilizzati, cioè ci siamo finti morti attivando una delle strategie di sopravvivenza innate in presenza di predatore; altri hanno attivato l'altra, la fuga. La nostra natura animale ha preso il sopravvento e ha diretto l'azione individuale. 
A farmi sorridere è la figura del predatore che ci tiene in scacco: un virus invisibile e potente che se ne frega dei nostri maldestri tentativi di controllarlo, prevederlo, arginarlo. 
Un virus che si comporta da virus e che agisce da virus senza velleità alcuna di sterminarci, sebbene sia vissuto a livello mondiale al pari di una guerra.
Un virus in grado di renderci uniti e animali nelle reazioni, ma divisi e fin troppo umani nella lotta per la sopravvivenza. Contradditori come sempre noi esseri pensanti e mortali.
E nel mezzo delle nostre contraddizioni abbiamo smesso di vivere per sopravvivere, perchè non solo stiamo fingendo di essere morti, ma siamo convinti sia la strategia vincente per sconfiggere il virus.
In effetti lo è. Se siamo già morti, cos'altro mai ci potrà uccidere?
E nella nostra immobilità respiriamo a pieni polmoni l'aria salvifica dell'immortalità. Nella nostra prigione mentale ci sentiamo liberi e onnipotenti. 
Contradditori come sempre noi esseri pensanti e mortali.
Siamo morti per fermare il virus e il virus continua a fare la sua vita fintanto che la natura vorrà. 
Una natura saggia e meravigliosa rinata in tutta la sua bellezza grazie alla nostra immobilità. 
Una natura che ha saputo morire per rinascere. 
Questo è l'insegnamento di cui dovremmo far tesoro.



Foto di PhotoMix Ltd. da Pexels



lunedì 13 aprile 2020

L'IMMUNITA' DI GREGGE

La prima volta che sentii alcuni politici parlare di immunità di gregge in relazione al coronavirus ebbi una reazione esagerata ondeggiante tra la sorpresa e il disgusto. Oggi, se analizzo quella reazione emotiva vedo la grande paura che l'aveva scatenata. Una paura irrazionale e pervasiva di fronte al virus. L'idea stessa di non fare nulla, mi picchiava in testa, celata dal ben più nobile intento di voler salvare il mondo. Correre sulla ruota come un criceto impazzito calmava la mia paura e acquietava le preoccupazioni. Stando a casa avrei potuto dissociarmi da quell'idea così bizzarra. E così feci.
Il coronavirus arrivò comunque e mi sfiorò da vicino servendomi su un vassoio d'argento una portata che mai avrei voluto assaggiare. 
Non avevo smesso un attimo di correre sulla ruota, come poteva essere accaduto? 
Quando il virus bussò alla porta accanto, lo osservai interdetta con la stessa sorpresa e lo stesso disgusto che ben conoscevo. Mi misi a correre sulla ruota con ancor maggiore foga per non sentire la sensazione di impotenza che pareva invadere ogni mia cellula annebbiandomi la mente. Il nemico invisibile mi stava accerchiando, ma non riuscivo a vederlo sebbene lo sentissi aleggiare nell'aria. Un'aria sempre più pesante per parole, pensieri, notizie. Un'aria irrespirabile, da fiato corto, l'unica a disposizione. Il virus dettava le regole del gioco e avrebbe decretato vincitori e vinti senza esclusione di colpi e indipendemente dal fatto che io continuassi a correre sulla ruota dissipando nello sforzo ogni inconscio tentativo di sconfiggerlo. 
Furono settimane delicate, faticose, di alti e bassi umorali. La meditazione mi aiutò ad uscire dall'uragano coronavirus con le radici affondate nell'inferno e i rami protesi ad abbracciare il cielo. A salvarmi fu l'accettazione della mia impotenza di fronte agli eventi. 
Come un albero sferzato dalle intemperie osservai la morte danzare intorno al gregge, insinuarsi tra le pecore, sfiorare gli agnelli e sfiancare gli elementi più fragili con naturalezza. Allo stesso modo notai la disperazione, la paura, la vulnerabilità del gregge di fronte alla consapevolezza di non essere immortale.
Davanti alla morte le reazioni delle pecore furono le più disparate: ci fu chi la sfidò, chi abdicò ad essa, chi la prese in giro, chi si armò e partì per la guerra, chi si rintanò, chi cercò di distruggerla o neutralizzarla, chi iniziò a correre, chi scappò lontano, chi impazzì, chi decise di aiutarla, chi ideò piani e strategie per controllarla, chi si azzuffò per attirarne l'attenzione e chi ebbe il coraggio di guardarla negli occhi.
La risata della morte di fronte a cotanta attività echeggiò a miglia di distanza e ancora la posso sentire risuonare nell'aria seminando il panico tra le greggi.




Foto di Ali Hadbe da Pexels


lunedì 6 aprile 2020

IL MONDO IN UNA STANZA

Oggi mi sono svegliata con l'immagine del mondo in una stanza. 
Significativa, se pensiamo alla situazione attuale. 
L'intuizione che ne è seguita è, però, ancora più significativa.
Spesso abbiamo letto e sentito dire che la realtà è specchio di noi stessi.
Se così fosse, quanto stiamo vivendo non è diverso da chi siamo.
Ho insistito molto sul concetto di chiusura che sembra caratterizzare l'uomo attuale.
Bene, ora siamo immersi nella manifestazione di questa chiusura.
E non ci piace affatto.
Tanto che cerchiamo di fuggire dalla chiusura imposta 
mettendo a rischio la nostra salute e quella di chi ci è vicino.
Un po' lo stesso meccanismo che si instaura quando in una situazione di chiusura
attiviamo il movimento per disperdere la nostra energia all'esterno
ed evitare di fare i conti con noi stessi
(a danno della salute psico-fisica nostra e di coloro che ci sopportano).
A seguito di questa riflessione non posso che congratularmi con l'universo per la mossa geniale.

Da tempo insisto sull'attivazione di un lavoro sul corpo come chiave verso la consapevolezza.  
Il contatto con la fisicità è infatti il modo più semplice a nostra disposizione per filtrare la frenetica attività della mente. Lo realizzai dopo aver scritto "IL CORAGGIO DI ASCOLTARSI" e aver accompagnato le persone in meditazione per diversi anni. L'esperienza mi mostrò quanto il contatto con il corpo fosse sempre più labile e così decisi di verificare questa ipotesi osservando con consapevolezza classi di esercizi di qi gong. La ricerca mi confermò la percezione che avevo maturato nei gruppi di meditazione e mi spinse a proporre un lavoro fisico di consapevolezza sul corpo e scrissi "IL RITMO DEL CORPO". Credo molto in questo progetto, ma presuppone un intento che non tutti non sono disposti a accogliere in un lavoro su se stessi: quello del lavoro fisico attuato con pazienza e consapevolezza. Non potevo fermare la mia ricerca in questo senso, così ho deciso di attuare una strategia diversa e proporre un romanzo di formazione. Sto seguendo l'editing del manoscritto proprio in queste settimane. E' stata una grande fatica cambiare l'approccio da saggista per vestirlo con la penna del romanziere, ma come ogni trasformazione ha coinvolto la mia crescita personale. Perchè un romanzo? Perchè essere troppo diretti non funziona. E l'intento va coltivato con cura e con leggerezza, come un seme che per poter mettere radici deve ricevere nutrimento e attenzioni. 
Non si può scalfire l'inconsapevolezza con un fendente dritto al cuore, della serie "Stai a casa". La situazione che osserviamo ce lo dimostra chiaramente. Stiamo letteralmente scappando da noi stessi.
Ma forse lo si può fare attivando delle fotografie, dei primi piani, dei cambi di prospettiva, un po' come quello che ho proposto nelle righe superiori del post. 
Piccole gocce a inumidire la terra affinchè i semi possano germogliare.



Foto di Clara da Pexels