martedì 24 dicembre 2019

NON E' MAI TROPPO TARDI PER RINASCERE

Non è mai troppo tardi per rinascere, soprattutto quando si vive il tramonto. 
E utilizzo il termine tramonto riferendomi ai suoi innumerevoli significati: tramonto inteso come completamento di una parte di vita, di un progetto o di un percorso, tramonto come scollinamento anagrafico, tramonto come mancanza di visibilità e di speranza nel futuro, tramonto come deliberata scelta verso la passività in una realtà di latta, disumana...
Non è mai troppo tardi per rinascere, soprattutto quando si vive il tramonto.
Il cuore lo sa, ma la mente fa fatica di fronte a questa affermazione e ci soffoca di dubbi con la giustificazione inconsapevole più ignobile: "Sopravvivi e stai tranquillo perchè non ne vale la pena".
Non è mai troppo tardi per rinascere, soprattutto quando si vive il tramonto.
Quando ci si abitua ad una normalità fatta di schemi mentali, educativi e sociali: "Sei troppo vecchio per... sei troppo giovane per... sei fuori di testa se ... perchè vuoi cercarti delle grane... intanto non serve a niente... chi te lo fa fare?", si dimentica quanto ogni singolo secondo di vita sia prezioso e degno di essere vissuto con totalità. Ogni attimo in cui siamo in grado di respirare.
Pensiamo raramente alla morte. Schiavi delle immagini di guerra e di violenza che regolarmente riempiono le nostre giornate,  siamo diventati indifferenti alla morte. Al dolore no, quello ci spaventa terribilmente. E pur di non soffrire restiamo immobili, aggrappati alla pochezza della nostre certezze per paura di perderle, di dover ricominciare, di dover fare i conti con ciò che non conosciamo e non siamo in grado di controllare.
Non è mai troppo tardi per rinascere, soprattutto quando si vive il tramonto.
Quando si tratta del tramonto dell'uomo, poi,  la rinascita diviene ancora più impellente. 
Ma per rinascere, bisogna splendere dentro almeno un poco e attizzare quella piccola fiamma affinchè cresca tanto da prendere forma. 
In questo Natale 2019 
il miglior augurio che possa fare a ciascuno di voi è di rinascere in voi stessi e per voi stessi. 
Siate folli e coraggiosi perchè la vita è un dono meraviglioso 
da assaporare giorno dopo giorno, senza paura. 
Realizzate i vostri talenti, i vostri sogni e iniziate oggi stesso
 perchè non è mai troppo tardi per rinascere!



Foto di Eftodii Aurelia da Pexels

mercoledì 18 dicembre 2019

CI SONO

Ci sono.
Facile a dirsi, ma difficile a realizzarsi.
Ci sono nella mia totalità.
Con il mio corpo, la mia mente e il mio cuore
in uno stato di presenza che li integra e li arricchisce.

Ci sono.
Sono qui, mercoledì 18 dicembre e scrivo.
Non penso ai regali da fare,
nè rimugino sui Natali passati.
Resto focalizzata sulla scrittura e su ciò che sto facendo.

Ci sono.
Ogni giorno porta con sè infiniti doni
e io voglio assaporarli tutti, uno ad uno,
senza anticipare i tempi od osservarli con le lenti del già visto.

Ci sono.
Attenta a cogliere gli sguardi di chi mi circonda,
pronta ad ascoltarne le parole e i silenzi.
Ci sono per me,
per il mio corpo, per il mio cuore
per offrire riposo alla mia mente indaffarata.

Ci sono.
O almeno cerco, accogliendo le cadute e tornando alla consapevolezza.
E quando tutto intorno il mondo gira vorticosamente
mi fermo e sto nel mio centro.

www.ildiamantearcobaleno.com










mercoledì 4 dicembre 2019

ABBIAMO SMESSO DI GUARDARCI NEGLI OCCHI

Abbiamo smesso di guardarci negli occhi.
Da quando ci siamo abituati a fissare uno schermo
siamo diventati sempre più passivi.
Televisione, computer, tablet, cellulari
hanno assorbito gradualmente tutta la nostra attenzione.

Abbiamo smesso di guardarci negli occhi.
Abbiamo dimenticato come osservare l'altro, ascoltarlo, annusarlo, toccarlo.
Abbiamo rinchiuso noi stessi nel mondo virtuale della tecnologie.
Amici sono foto e parole senza forma.
Noi stessi siamo diventati fantasmi scritti
 in una realtà priva di odori, sapori, intensità.

Abbiamo smesso di guardarci negli occhi 
e non ricordiamo più come guardarci allo specchio.
E' più facile odiare, criticare, restare indifferenti, pensarsi migliori.
Lo schermo ci  assorbe, ci fa dimenticare, ci fa sognare, 
ci fa sentire potenti esiliando le nostre paure, nascondendo le nostre fragilità
e accogliendo senza giudizio lo sfogo delle nostre emozioni.

Abbiamo smesso di guardarci negli occhi
e la nostra anima si è persa in una rete senza tempo, al di là dello spazio.
Abbiamo smesso di invecchiare, di assumerci responsabilità,
di fare sacrifici, di vivere il corpo.
Immobili come macchine 
ci siamo arenati nella melmosa palude della mediocrità.



Foto di Toni ph da Pexels

lunedì 25 novembre 2019

ME LO MERITO?

Tre semplici parole, eppure così faticose da pronunciare. 

Si merita il rispetto chi non è mai stato rispettato? 
Si merita la gioia chi ha sempre sofferto?
Si merita di ricevere chi ha solo sempre donato?
Si merita un proprio spazio chi non lo ha mai avuto?
Si merita l'amore chi non è mai stato amato?

Se ponessimo le domande in questi termini non avremmo alcun dubbio sulle risposte: "Certo che se lo merita".
Come mai, allora, se rivolgiamo la domanda a noi stessi non siamo altrettanto sicuri al proposito?

Chi non è mai stato rispettato è abituato a farsi calpestare.
Chi ha sempre sofferto ha fatto l'abitudine al dolore.
Chi ha sempre e solo donato ha difficoltà a ricevere.
Chi non è mai stato visto nè apprezzato si è convinto di non avere diritto ad un proprio spazio.
Chi non è mai stato amato non sa come accogliere l'amore.

Disgregare gli schemi con cui siamo cresciuti è molto faticoso. Dobbiamo imparare ad aprirci quando l'unica nostra difesa è la chiusura, ed è difficilissimo farlo nel contesto che ci ha abituato a non essere amati, rispettati, visti o che ci ha sempre usati causandoci grande sofferenza. 
Per riuscirci dobbiamo inevitabilmente allontarci da quel contesto e vincere il senso di colpa che,  subdolo e insistente, ci sussurra continuamente "Non te lo meriti, chi sei tu per cambiare le cose?"
Ci sentiamo la misera "pecora nera" spersa in un gregge di pecore bianche e bellissime e abbiamo paura. Ci sentiamo inadeguati, incapaci ed esclusi dai giochi ancora prima che essi abbiano inizio.
D'altra parte ci siamo convinti di  valere meno di nulla, per cui come possiamo ambire al rispetto, alla gioia e all'amore? Non possiamo, se non per follia.
Abbiamo confuso lo sguardo di chi ci circonda con il nostro stesso sguardo e abbiamo smesso di vederci, di rispettarci e di amarci, attirando inconsapevolmente sempre le stesse situazioni.
Comunque, è sempre in nostro potere cambiare le cose e quando iniziamo a sentirci la misera "pecora nera" siamo sulla buona strada. Il passaggio successivo è recuperare uno sguardo più oggettivo.
A quel punto potremo anche stupirci nel notare che le pecore bianche e bellissime che abbiamo eretto a ideale da seguire perdono il vello, ma non il vizio. Altro varco da superare: non sono pecore, ma essere umani con le stesse nostre fragilità e paure. 
Nel lungo percorso di riscoperta e accettazione di noi stessi sarà naturale osservare quanto l'essere la misera "pecora nera" ci abbia portato a rinunciare al nostro potere personale e l'abbia donato alle presunte "pecore bianche e bellissime" permettendo a queste ultime di farne l'uso che ritenevano più opportuno a nostre spese.
Con questa consapevolezza iniziamo ad accorciare i fili del nostro potere personale fino a recuperarlo. Poi piantiamo i paletti dello spazio e del rispetto verso noi stessi (quello in cui possiamo anche permetterci di proferire dei salvifici NO alle richieste indecenti del fulgido gregge abituato a tartassarci) e innalziamo orgogliosi il nostro stendardo: "Sono la pecora nera". Inutile nascondersi dietro ad un dito: per le pecore  bianche tali rimarremo per sempre. Un ruolo a definire la nostra ribellione.
Ma noi siamo troppo impegnati a scoprire chi siamo al di là del mondo degli ovini per rimanerne condizionati (e poi detto tra noi, cambiare ruolo ogni tanto rende la commedia oltremodo divertente).
Così ci incamminiamo sempre più decisi verso la libertà. Quella libertà di pensiero che fa apparire all'orizzonte i primi tiepidi raggi di sole, quelli ambrati e luminosi del primo "me lo merito anch'io..."

Donatella Coda Zabetta


Ad uso gratuito (CCO) - Pexels








martedì 12 novembre 2019

LA RIDONDANZA DELLE PAROLE

Le ascolti, le leggi, le assapori.
Sono le parole.
Alcune addolciscono il sentire,
altre feriscono il cuore.
Alcune sono spunto di riflessione,
altre sono focolaio di rabbia.
Alcune aleggiano leggere,
altre sono più pesanti del piombo.
Le vedi spargersi nell'etere
con costanza e continuità
attraverso i giochi dei bambini,
le prese in giro degli adolescenti e i loro primi amori,
i progetti dei giovani, le discussioni degli adulti,
i ricordi degli anziani.
Sono le parole.
Informano, limitano, amano, catalogano, aiutano, giudicano.
Ce ne sono di tutti i tipi e di tutti i colori.
A volte però sono troppe,
tante da togliere il respiro.
Il silenzio si perde nella ridondanza delle parole
insieme alla nostra capacità di ascoltare,
di leggere tra le righe, 
di accoglierle.
E diveniamo indifferenti
di fronte alla loro eccedenza
per difenderci, per schermarci, per proteggerci.
Insensibili al potere delle parole
ci chiudiamo in noi stessi
pronti a dissotterrare l'ascia di guerra 
appena ci sentiamo minacciati da esse.
E capita spesso,
perché ci siamo abituati a scandagliare ogni parola
con la lente della nostra soggettività.
Così  pesiamo le parole, le analizziamo, le scrutiamo,
le ribaltiamo per scovare al loro interno 
la minaccia che sentiamo continuamente aleggiarci intorno
e ne diffondiamo altre, altrettanto pericolose.
Sono le parole.
Uno strumento prezioso,
che l'insensibilità dell'uomo
ha reso mortifero.



Ad uso gratuito (CCO) - Pexels



martedì 5 novembre 2019

I SENSI DI COLPA DEGLI "ADULTI" DISOBBEDIENTI

Avete presente quella vocina noiosa e persistente che si manifesta subdola quando fate qualcosa che non rientra nei socialmente accettati "Si deve" o "Non si deve fare"?
E avete presente la lotta interiore che si scatena quando il "bambino ribelle" entra in modalità attiva dando una spallata a quello "conforme"?
Il mare in burrasca delle emozioni travolge la nostra fragile barchetta alla ricerca di se stessa.
E sono cavoli amari.
Spiegare le vele durante la tempesta è un atto ardito, anzi addirittura folle. E noi non siamo folli, ci ripetiamo con fermezza cercando di placare il fuoco che ci brucia dentro. Ma la fiamma non si estingue e divampa ancora di più. Soffiarci sopra cercando di spegnerla è un tentativo maldestro, non faremmo che aumentarne la forza. Ignorarla non funziona. Comprimerla all'interno di noi stessi potrebbe farci esplodere. A meno che le leviamo l'ossigeno: cioè ci rassegniamo a sopravvivere e scegliamo la barchetta "conforme", cioè quella ligia alle regole educative. 
Immaginiamo per un attimo di spiegare le vele scegliendo il ribelle nascosto in ognuno di noi. La barca che ondeggia nella tempesta è poca cosa se paragonata alla nostra assenza di equilibrio, per altro naturale quando si affrontano nuove esperienze. Se abbiamo il coraggio di non farci intimorire e poggiamo i piedi ben saldi a terra cercando stabilità il primo passo è andato. Le tempeste non durano mai per sempre e, con il nostro intento a non mollare di fronte alla paura, spunteranno i primi sparuti raggi di sole: luminosi e leggeri come quei rari momenti in cui siamo in armonia con noi stessi. I sensi di colpa probabilmente ce li porteremo dietro per un bel po' perchè ci siamo troppo affezionati per lasciarli andare completamente, ma quella vocina noiosa e persistente si farà sempre più sottile e lontana con il passare del tempo. E arriverà il giorno in cui guarderemo ai nostri sensi di colpa con fare benevolo e li saluteremo in pace con noi stessi per proseguire il cammino con la gioia nel cuore.
Perchè non pesa essere soli o controcorrente quando si può essere se stessi.




Foto di Johannes Plenio da Pexels


lunedì 4 novembre 2019

I LIMONI INSODDISFATTI DEL WEB

Ne percepisci il profumo già da lontano.
Talvolta scrivono utilizzando lettere maiuscole
per spruzzare la loro acredine a gola spiegata.
Sono gli sputasentenze della rete.
Quelli che sventolano come bandiere
criticando indifferentemente qualsiasi proposta o notizia.
Non hanno una coerenza propria,
se non per l'indefessa ricerca di motivazioni
tese a dar libero sfogo alla loro insoddisfazione.
Sono quelli che non ce l'hanno fatta,
che arrancano all'interno di una quotidianità che non sopportano
e che non hanno il coraggio di cambiare.
Sono quelli che vivono convinti
che affossare gli altri 
renda meno dolorosa la loro sopravvivenza.
Sono quelli che a forza di sopprimere emozioni 
e mandar giù bocconi amari
si sono persi nel labirinto della loro cecità.
Sono quelli carenti di autocritica
orgogliosi inconsapevoli della loro ignoranza.
Sono quelli che si credono "nel giusto"
sempre e comunque
convinti che la libertà di pensiero
sia un dono riservato agli eletti, cioè loro.
Sono quelli che dobbiamo ringraziare 
perchè allenano la nostra pazienza 
ci insegnano la tolleranza
e ci stimolano a essere consapevoli e mai troppo seri.
Sono quelli che danno colore alla rete
perchè di fronte ai limoni insoddisfatti del web
non si può che sorridere.



Foto di Jeys Tubianosa da Pexels