Ogni Fine è un nuovo Inizio.
Dura da accettare, ma è proprio così.
Perchè fatichiamo così tanto ad accettarlo?
Perchè noi umani dal freno a mano tirato tendiamo a focalizzarci solo sul senso di mancanza che la fine di qualcosa genera in noi. Non riusciamo a guardare oltre. Resistiamo tenaci all'idea del cambiamento, rafforzando la percezione distorta che la fine di qualcosa coincida con la morte, il buco nero che tutto inghiotte senza curarsi dei nostri sentimenti. Sarebbe sufficiente aprire il grandangolo, per comprendere che non è così. Il cambiamento è vita, mentre è la staticità dell'immobilità delle cose sempre uguali ad avvicinarci maggiormente alla morte. Una morte lenta e inesorabile dei giorni sempre uguali a se stessi. Eppure noi consideriamo l'abitudine stabilità e ritroviamo in essa la bara in cui accomodarci al riparo dagli scherzi della vita. Gente strana noi umani che abbiamo fatto del parcheggio il viaggio. Un viaggio che si ferma ancor prima di cominciare perchè ciò che non conosciamo ci spaventa da morire (!!! battutaccia). Ed ecco il guerriero difensore del tutto uguale ergersi a menar fendenti a qualsivoglia tentativo di innovazione e la mente, sua alleata, a supportarne l'intento con giudizi, giustificazioni e paure. Così nascono le resistenze, le nostre strenue resistenze al cambiamento e la fatica dello scontro.
Non ha più importanza il fatto che l'abitudine mi crei disagio e mi prosciughi energeticamente, il fatto che io sia cambiato e le situazioni debbano supportare la mia trasformazione: ho talmente paura che me la faccio sotto e preferisco lo status quo delle cose sempre uguali. Se poi gli altri si permettono di giudicare ogni presa di posizione differente dall'abitudine, il gioco è fatto. Sono morto in partenza: al mio guerriero difensore del tutto uguale e alla mia mente si allea pure il pubblico del mio teatrino personale. Le forze scemano e mi accascio al suolo di fronte ad un esercito di tal portata.
Risultato? Ingoio rospi, rane e raganelle e continuo imperterrito a fare come ho sempre fatto.
Fino al crollo psico-fisico. A quel punto, però, sono oggettivamente senza forze e cambiare le cose diviene molto più complicato.
Ribaltiamo lo schema. Se una responsabilità che ho scelto in passato diviene un peso intollerabile per via della mia trasformazione e diviene una responsabilità espansa che si disperde su chi mi sta intorno (e non l'ha scelta) è importante prenderne consapevolezza e trovare il coraggio di ammetterlo con se stessi. Le scelte che operiamo consapevolmente sono necessarie alla nostra crescita e va da sè che cambiano nel tempo. Il movimento fa parte della vita e dell'evoluzione personale e nel momento in cui ci blocchiamo, rinunciamo al viaggio che abbiamo intrapreso con la nascita. Un po' come scegliere di restare sempre bambini perchè le responsabilità ci fanno paura o ci richiedono un impegno di cui non vogliamo farci carico.
Se la vita si sviluppa nel movimento vi è un significato più profondo di quanto le nostre menti dal freno tirato possano comprendere. Il nostro viaggio è allo stesso tempo il viaggio di chi amiamo, di chi ci accompagna, di coloro che incontriamo e di coloro che semplicemente incrociamo o vediamo da lontano. Ogni viaggio ha un suo percorso ben preciso ed ognuno è responsabile solamente del proprio viaggio personale (mentre a volte ci espandiamo così tanto - al contrario di coloro che scelgono l'infanzia come modo d'essere - da sentirci responsabili per il mondo intero). Gli eventi e i cambiamenti si sviluppano sempre per il nostro sommo bene, per indurci a scegliere e andare oltre: avendo dimenticato la fiducia in un progetto più grande, ci limitiamo a guardare il tutto con un macroobiettivo focalizzato sul nostro essere vittime e così non riusciamo più a cogliere il senso di quanto sia naturale che la fine di qualcosa sia semplicemente un nuovo inizio. Per noi e per gli altri.
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