Oggi desidero riflettere sul dolore e sulla sua dinamica di manifestazione. Quando si prova un grande dolore, si ha la percezione di essere piombati in un buco nero senza vie d'uscita: si diventa rigidi e immediatamente si creano barriere di autodifesa alla chiusura in se stessi. Ci si percepisce vulnerabili, per cui è naturale ripararsi dal giudizio o dall'insensibilità di chi ci è vicino e potrebbe, anche involontariamente, accrescere la nostra sofferenza. Si diventa, inoltre, soggettivi all'ennesima potenza. Cosa significa? Che nel buco non c'è spazio per altro che non sia il dolore che ci appartiene. I pensieri sono cupi, ci si sente persi e sfiniti.
Un buco ha sempre una via d'uscita se sappiamo alzare gli occhi al cielo. Il problema è che centriamo il nostro sguardo sulle pareti della fossa e queste non fanno che rimandarci dolore. L'assenza di forze, determinata dalla situazione, crea in noi l'illusione di poter uscire da tanto dolore solo aggrappandoci a qualcosa di esterno che sappia tirarci fuori dal buco: in quel qualcosa identifichiamo la Luce della via d'uscita.
Immaginiamo una situazione reale. Di essere finiti in un buco nel terreno e di essere soli. Se guardiamo intorno a noi solo terra. Se guardiamo in alto Luce. Ma come fare a uscire? Vediamo sporgere un ramo (qualcuno ci tende la mano, ma non sarà mai in grado di uscire dal buco al posto nostro o di tirarci fuori dalla voragine in cui siamo caduti senza uno sforzo attivo da parte nostra: il rischio più grande è che nel buco ci si finisca in due!) in alto sopra di noi. Qui scatta l'illusione della dinamica del dolore: nasce la convinzione che il ramo sappia farci uscire dal baratro. Il ramo è semplicemente presente. Questo può offrirci niente, altro. Sta a noi aggrapparci ad esso, con tutte le nostre forze, cercando di risalire le pareti di dolore che ci circondano. Dobbiamo scalare il dolore cercando di comprendere l'insegnamento esperienziale in esso racchiuso. E come siamo finiti dentro al dolore in modo soggettivo, dobbiamo trovare la forza di venirne fuori in modo oggettivo. Da soli. Nessuno sarà mai in grado di cancellare quel dolore per farci stare meglio, neanche noi. Quel dolore esiste, ci appartiene, fa parte della nostra esperienza di crescita. Possiamo scegliere di rimanervi agganciati per sempre. Oppure possiamo scegliere di trattenere l'insegnamento scaturito dall'esperienza e lasciarlo andare, per tornare a vivere il presente al posto del passato. Siamo liberi di scegliere. E la nostra vita specchierà la nostra scelta. Potremo scegliere la schiavitù del dolore (anche se non scegliamo, rimanendo immobili, scegliamo in questo senso!!!!) o la libertà dell'essere.
Bellissimo articolo.
RispondiEliminaComplimenti.
Grazie di cuore.
EliminaComplimenti, scrivi sempre cose molto belle! Un abbraccio di Luce
EliminaGrazie, grazie di cuore!
EliminaE' una grande gioia condividere e sono felice di risuonare con altri cuori!
grazie, leggo, non scrivo, non ml sento ora, lo farò; e come se già parlassimo comunque. Notte
RispondiEliminaNotte Furio. ll silenzio è meglio di infinite parole.
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